È il desiderio di comprendere a guidare lo sguardo dello spettatore in un percorso a “incontri” all’interno del rigoroso, a tratti sacrale, spazio espositivo della galleria Zero di Milano, dove affiorano vive le distintive opere di Chiara Enzo: composizioni di corpi che si manifestano in frammenti perturbanti, dalle tonalità tenue e dal tratto minuzioso a tesserne le trame, il segno si fa insieme in una stratificazione di velature dalla tecnica mista.
La sezione di un corpo femminile seduto sul bordo di un candido letto aprire la mostra. Guardato dall’alto, in M. (2023) il corpo si fa piccolo, stretto su se stesso, le cui braccia conserte si appoggiano al grembo forse in un momento di fragilità, in cui potersi immergere ritrovando nell’altro il proprio essere vulnerabile.
Nelle sue opere caratterizzate dalle piccole dimensioni, l’artista guarda con cura a ciò che rimane nei residui del tempo, dietro al vissuto dell’esperienza, come in Lettino (2023) dove le lenzuola stropicciate sono la traccia di un corpo presente nelle forme incise della sua assenza. Enzo ci pone sempre di fronte a un duplice presente: quello che ci lascia vedere e quello che invece ci lascia immaginare al di fuori dei bordi che taglia.
Scendendo al piano sotterraneo si è accolti dal buio, qui l’esposizione si fa ambiente. L’atmosfera è suggestiva, avvolgente e protettiva, come all’interno di un nido o di grembo materno, rimandando a una dimensione infantile che dolcemente conduce lo spettatore verso il fondo della stanza, dove una luce ipnotica illumina la parete dipinta di grigio. Sono otto dipinti della serie Visceri (2023), dalle dimensioni variabili, a scorrervi sopra in successione una dopo l’altra, come i frame di una pellicola cinematografica ma dalla linearità orizzontale. Strette inquadrature di corpi posizionati più in basso rispetto al punto di osservazione solito, imponendo la necessità di chinarsi e di (ri)farsi piccoli per contemplarne le trame.
Lo sguardo attraversa la pelle di un volto dormiente, la cute lesionata e rosacea di due gambe, quella cicatrizzata o incisa e ricucita di un ventre femminile, l’irregolarità delle forme e del tatto delle membra, le ramificazioni bluastre delle vene che segnano gli arti. Muovendosi all’interno di una dissezione ambigua che oscilla tra i limiti di morte e di vita. La domanda sorge spontanea: a chi appartengono questi corpi? Sembra di averli già osservati, conosciuti e addirittura vissuti.
È indagando e attraversando la superficie limite dell’altro che lo si può incontrare e (ri)conoscere, ripensando alle modalità di dialogo e di relazione tramite un avvicinamento invadente ma amorevole, violento ed empatico. Chiara Enzo arriva così a toccarci nella parte più viva, spogliandoci dal nostro più esterno e sottile strato di pelle.
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