Occorre la stessa precisione marxiana, di Walter Benjamin che, lavorando al concetto di fantasmagoria, la definiva come un bene di consumo nel quale nulla deve più rammentare come esso è nato. Tale diventa la Natura, nel nuovo lavoro di Pierre Huyghe installato nel parco di sculture di Kistefoss ad una cinquantina di chilometri da Oslo. Un luogo ordinario, percorso da famigliole in gita estiva fuori città, un sito ora arricchito da un nuovissimo museo The Twist e reso magico, da questa nuova variazione.
Un lavoro che in esso appare come sovrannaturale e sacro nell’istante in cui non é più riconoscibile come lavoro. L’opera comprende intelligenza artificiale, oggetti scansionati in 3D, creature viventi e organismi, ed offre qualcosa di completamente unico nel parco che da anni cerca di diversificare la sua offerta di arte contemporanea. Variants si trova su un’isola precedentemente inaccessibile e spesso soggetta ad inondazioni. È stata scelta appositamente da Pierre Huyghe per realizzare un’espansione significativa del paesaggio di Kistefos nel suo insieme. Cosa succede in questo strano setting approntato dall’artista francese che ci ha abituato ad esperimenti di ogni tipo ad eventi contingenti e fluttuanti all’interno di musei, pattinatoi, luoghi abbandonati mentali e fisici, che ha indagato nella loro attività geochimica o biologica. Dagli inverosimili acquari dove crostacei coabitavano con sculture di Brancusi, ai cani con zampe colorate di Documenta. Huyghe è un maestro delle mutazioni generate che cambiano comportamenti in tempo reale. Qui confidando nelle ricorrenti inondazioni che accelerano la crescita, diversi elementi ospitati in uno spazio spettrale sono allineati e sospesi in una poesia irrisolta ed in una crisi permanente. Qual’é la promessa dopo essere scesi attraverso una rampa di scale metalliche in quello che sembra il greto di un fiume in un paese come la Norvegia nel quale la natura « incontaminata » é allo stesso tempo cultura e religione nazionale. Si ha l’impressione di essere inclusi in un diorama, teatro quindi e sicuramente per analogia digitale in un meccanismo cinematografico.
Ed infatti attraverso ciò che di fatto assomiglia di più ad un tappeto natura di Piero Gilardi, degli anni 60 che ad un paesaggio si arriva ad un enorme schermo nero digitale piantato in orizzontale che ricorda il monolite del 2001 kubrickiano. Ora é diventato un sistema di spazializzazione per finzioni di tutti i tipi, dalla saga nordica con scheletri di alci albine ed alveari rosa,fino al 3D. Il lavoro di Huyghe nella vibrazione del denaro é giunto alla perfezione.E’ un dispositivo di incarnazione per realtà lontane, esotismi e virtualità: soggettivazione e packaging della nostra esperienza del mondo.
L’ambiente simulato e navigato che compare sullo schermo é quello di un occhio autonomo e ansioso, testimone della natura in continua evoluzione dell’isola.
In una stramba profezia, che dal mio punto divista sembra chiudere l’Antropocene, Huyghe é sicuramente un precursore accertato nell’utilizzo della virtualità nello spazio / tempo, purtroppo ma involontariamente é anche un costruttore di utensili precisi per l’officina culturale odierna che ha sempre più bisogno di abilissimi designer del consumo che si rigenera e modifica come la Natura.
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