Continuare un percorso di inserimento di installazioni artistiche e mettere al centro il rapporto tra uomo, architettura e natura: sono questi l’uno il desiderio e l’altra la sfida che hanno mosso Alessia Bellone e Cecilia Serafino nell’ideazione di Venaria Green Art, un festival tutto nuovo di valorizzazione paesaggistica nei Giardini della Reggia di Venaria destinato a durare – secondo il naturale ciclo della vita – fino al prossimo 13 ottobre.
L’idea di conoscenza su cui per secoli si è basata la relazione tra l’essere umano e il mondo è stata spesso rappresentata attraverso l’immagine della natura come codice: decifrabile grazie alla scienza, oppure destinato a rimanere oscuro, perché scritto in un linguaggio segreto che agli uomini non era dato conoscere – physis kryptesthai philei, (La Natura ama nascondersi), fu la sentenza di Eraclito. Cosa vuol dire allora per un artista provare a raccontare il rapporto tra uomo e natura nell’epoca più antropizzata, artificiale e tecnologica di sempre? In occasione della prima edizione di Venaria Green Art Rodolfo Casati, Erika Inger, Marco Nones, Ars Ruralis (Simone Mulazzini e Valentina Grossi), Rumen Dimitrov, Tim Norris, Rodolfo Liprandi, Berit Skjøttgaard Laursen e Roy F. Staab hanno plasmato in loco la loro opera per riflettere, con mezzi e strumenti eterogenei (elementi naturali ormai disseccati ma rivitalizzati da un’anima nuova), sul complesso rapporto tra uomo e ambiente, aprendo la strada a una serie di riflessioni sulla costruzione non solo del paesaggio, ma anche della visione – concetto fondamentale ed emblematicamente figurato dall’intervento di Cecilia Serafino, un occhio che guarda la Reggia ma anche l’occhio della Reggia che guarda il Monviso.
Tenerezza, democrazia, durezza, selvaggia, duppini, site-responsive, incontro, linee lunghe e ispirazione sono le risposte che ognuno di loro ha dato alla richiesta del Direttore del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude e della Reggia di Venaria, Guido Curto, di indicare un aggettivo o un sostantivo per raccontare l’anima del proprio intervento site specific. Rurale, ha aggiunto Hilario Isola, che ha realizzato un terzo intervento – dopo i due di dicembre – legato alla rappresentazione degli insetti più importanti per la preservazione della biodiversità e per l’equilibrio naturale ed ecologico del nostro ecosistema. Scopriamo insieme le opere, una dopo l’altra, in un percorso che permette all’uomo di ritrovare fisicamente un senso di connessione con la natura.
Ispiration, di Roy F. Staab – artista, scultore e “disegnatore nello spazio” originario del Wisconsin che lavora nella natura per creare forme geometriche – è costituita da due cerchi, disposti orizzontalmente sospesa con l’ausilio di colonnato di rami a un’altezza che supera il metro e mezzo e intersecati da una lunga linea che li unisce, e può essere percorsa e attraversata, per scoprirla dal suo interno, oltre che dall’esterno o, nelle giornate di sole, dalle sue ombre. Il cammino prosegue con Movement di Berit Skjøttgaard Laursen, un’opera che si estende per oltre 80 metri di lunghezza. La purezza delle forme e il richiamo alle linee architettoniche più semplici sono la cifra stilistica del suo lavoro, che qui, nei Giardini, assume un carattere giocoso – come direbbe Pascoli, intuibile dal fanciullino «che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione». L’installazione è un trionfo di sfere – «La sfera è una forma magica e al suo interno contiene energia e quando ho visitato per la prima volta la Reggia mi sono accorta che la forma circolare ricorreva, anche nei pavimenti e nelle finestre per esempio, quindi ho voluto ricreare questa magia», ha raccontato l’artista – di forme e materiali diversi che si estendono a ritmo irregolare, incuriosendo visivamente lungo un viale incorniciato da alberi piantati a una distanza regolare l’uno dall’altro.
Rodolfo Liprandi, originario di Trieste e residente a Varsavia, ha realizzato nei Giardini, dove un tempo si cacciava, un gruppo di cinghiali con il legno del luogo (con i rami più grossi ha costruito lo scheletro, con quelli più sottili l’apparato anatomico, finanche il pelo). Il titolo dell’installazione, Dziki, viene dal vocabolario polacco e significa cinghiale, appunto, ma anche selvaggio, e invita a riflettere sul rapporto tra uomo e natura partendo proprio dalle reazioni rispetto a ciò che si considera selvaggio, che a volte spaventa ma che non necessariamente è da temere. Anzi, nel caso di Liprandi, che ha scolpito una mamma con due cuccioli, si prova una sensazione di tenerezza che, meno figurativamente e più oniricamente, anche Rodolfo Casati ha saputo plasmare con la sua Mammy, una creatura fantastica, che entra ed esce dall’acqua restituendo – in un mondo sempre più problematico – l’amore più puro, quello di una madre per i propri figli.
Il percorso prosegue verso Moving di Erika Inger, che ha preso spunto dai movimenti degli sciami e dei greggi per rileggere il movimento delle persone e passare un intenso messaggio di vita democratica. Insetti, uccelli, pecore, e tutti gli animali che si muovono in gruppo, nei secoli dei secoli, si sono sempre fidati e affidati ai loro vicini: ecco, noi, uomini, da loro possiamo imparare a fare lo stesso, a pensare singolarmente al bene nostro per il bene del prossimo, evitando qualunque tipo di contrasto collusivo in favore di un senso di esistere nel rapporto con l’altro. Il cammino porta, poi, verso l’opera di Tim Norris, Luna & Sol, che lui ha scelto di installare nell’acqua, a metà strada tra la Fontana dell’Ercole e il Tempio di Diana. Le loro connotazioni maschili e femminili hanno influenzato il disegno dell’opera: Diana, dea della caccia e della luna, ha ispirato la realizzazione con legno di betulla della mezzaluna, un simbolo fortemente legato alla Reggia, a cui si abbina, in un trionfo di dualità e unità, il simbolo del sole, realizzato con legno di castagno.
Costeggiando il lungo corso d’acqua si arriva a Circle of Life di Rumen Dimitrov, una grande goccia che cade sul terreno fissando l’unione tra terra e cielo in un attimo che diventa eterno: «la goccia che cade dal cielo – racconta lo scultore che vive a Veliko Tarnovo, in Bulgaria – e che normalmente vedremmo sulla terra, qui è in acqua, ma non si fonde nell’acqua, cerca anzi di tornare al cielo, in un movimento circolare infinito». La circolarità che esprime l’opera funge da chiaro e dolce monito all’importanza che l’acqua ha per la vita, dell’uomo come della natura: è questo, il ciclo della vita. Dalla Fontana dell’Ercole raggiungiamo il Tempio di Diana, in prossimità del quale Ars Ruralis (Simone Mulazzini e Valentina Grossi) ha realizzato Sguardo di natura che dal giardino si libera nel circostante, che è bellezza, selvaggio, natura.
Il percorso di Venaria Green Art si chiude – sembra una magia – con Sipario, l’opera che Marco Nones ha realizzato con i legni della Reggia. Si tratta di una tenda, quasi trasparente che celebra la trasformazione delle stagioni, lo slancio della vita e la sua generosità. È desiderio di Marco – ben espresso da quest’opera che è autobiografica e sa essere collettiva, al contempo – che «l’uomo possa riprendersi il proprio tempo che gli uni con gli altri ci si è rubati. Ho scelto di costruire Sipario in mezzo ai meli perché amo gli alberi, soprattutto i meli, sono il mio punto di contatto con la natura, mi insegnano il tempo. Gli alberi hanno quattro tempi: in inverno riposano, in primavera fioriscono, in autunno mettono le foglie, in estate danno i loro frutti». Lui vorrebbe imparare questo tempo, perché è il tempo che ci appartiene: quattro, del resto sono anche i tempi della respirazione. Sappiamo davvero respirare? «Noi siamo parte della natura», afferma Marco Nones, vale allora la pena di prendersi il tempo per riconoscere il nostro tempo e la nostra natura, inspirando, trattenendo, espirando e trattenendo. Ogni volta per quattro secondi.
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