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Venice Glass Week: lo studio glass americano, tra stelle, strisce e murrine
Design
Nel nostro viaggio tra i migliori appuntamenti della Venice Glass Week, abbiamo seguito un percorso che inizia da Murano, passando per Castello e arriva fino all’Isola di San Giorgio, per conoscere tre realtà che interpretano in modo diverso e originale l’antica arte del vetro, ponendosi come sue rappresentanti e abili divulgatrici. In questa terza tappa (qui la seconda, alla Fondazione Berengo, e qui trovate la terza, a Castello), approdiamo all’Isola di San Giorgio, una meta che è sempre una sicurezza. È qui che le Stanze del Vetro hanno la sua sede espositiva, nella magnifica cornice dei giardini della Fondazione Cini, con il labirinto Borges e l’antico anfiteatro, affacciati sulla laguna sud.
Per la Venice Glass Week, l’istituzione ha organizzato una grande retrospettiva che esamina, per la prima volta, l’influenza dell’estetica e delle tradizionali tecniche di lavorazione del vetro veneziano nello Studio Glass americano. Il desiderio dei curatori, Tina Oldknow e William Warmus, è di mettere in luce l’innovazione del design americano da quando, negli anni ’60, molti artisti giunsero a Venezia per imparare le basi tecniche della soffiatura del vetro, e utilizzarle per realizzazioni artistiche in studio.
Lo Studio Glass americano, tra patriottismo stelle e strisce e raffinatezza muranese
Spregiudicata, d’impatto, fortemente caratterizzante, l’opera in vetro americana si discosta fortemente dall’origine veneziana, seppur ne colga i fondamenti. Sensazione che si conferma dalla prima opera esposta, il Blue Projectile Impact, 1984 di Harvey K. Littleton: un proiettile ha infranto il vetro che, misurandosi con il suo desiderio di infrangibilità, resta compatto su una lastra verticale, senza sbriciolarsi. La stessa volontà di ridefinizione della materia ritorna in Blue Crown, opera del 1988 di Littleton, che studia i movimenti, le possibilità di rifrazione, i giochi curvilinei, in un lavoro che mostra la sua essenza embrionale, di sperimentazione. È invece di assoluta finezza compositiva, esprimente leggiadria ed eleganza, il Dinosaur, 2018, di Lino Tagliapietra, che racconta tutta la sapienza della tecnica del maestro veneziano in commistione con la modernità nella resa della silhouette dell’oggetto artistico, che ricorda le forme di un animale preistorico, il cui manto è caratterizzato da una quadrettatura scozzese.
La sfera Halo, 2018, di John Kiley ci rimanda direttamente alle sperimentazioni e all’uso coloristico degli anni ’60, la teiera Marquiscarpa a stelle e strisce è un inno al patriottismo USA, che qualifica tutta l’opera di Richard Marquis, come si evince nella fattura della pistola Maverick, antica arma in acciaio scolpito da Far West, impreziosita dall’impugnatura in vetro mosaicato, secondo la tecnica della murrina: l’oggetto da moderna Wunderkammer è parte della sua personale collezione.
Il sorprendente Cadmium Orange Venetian #350, 1990, di Dale Chihuly, realizzato a Murano, declina il marmorino veneziano in un arancione squillante, con una spirale blu elettrica che culmina in conchiglie madreperlacee: è puro estro, creatività. Il suo Laguna Murano Chandelier ha un posto d’onore nella Sala Carnelutti della Fondazione: la spettacolare opera in vetro realizzata nel 1996 con Pino Signoretto e Lino Tagliapietra è in assoluto l’apice della lunga collaborazione e contaminazione tra artisti americani e veneziani nel vetro contemporaneo. L’opera crea un unico insieme di pura esplosione visiva incorporando gli elementi che esprimono l’essenza e la vita della laguna veneziana – il granchio, la medusa, l’anguilla, la sirena e Nettuno – nell’intreccio delle viti color dell’ambra. Ricordiamo l’installazione che prevedeva la disseminazione delle sculture di “Chihuly Over Venice”, che entusiasmò la città di Venezia e la colorò di momenti gioiosi, così l’indimenticabile lampadario nell’atrio del V&A Museum di Londra, impresso nella mente di chiunque vi sia entrato.
La volontà di usare il mezzo del vetro per andare oltre alla realizzazione dei vasi è alla base dell’opera di Laura Donefer e Jeff Mack, con il loro Violet Amphora Classico Moderno, 2017, in vetro soffiato con applicazioni tessili a caldo, di chiara reminiscenza greca, al punto da diventare simbolo, all’interno di tutto il percorso espositivo, dell’utilizzo dell’antico per rinnovare lo stile contemporaneo, e creare qualche cosa di esaltante. Il corridoio di calici, ognuno magistrale pezzo da collezione, conclude la mostra ripercorrendo la storia e il gusto dalle creazioni Liberty da Antonio Salviati ad Archimede Seguso, lasciandoci negli occhi la bellezza ed eleganza della pura tecnica muranese.