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Vette di Luce: l’Accademia Carrara omaggia le Alpi Orobie
Mostre
Osservazioni, innamoramenti, passi, salite, disegni, dipinti, scoperte, memorie: Vette di Luce è l’omaggio che l’Accademia Carrara di Bergamo rende alle Alpi Orobie, con una sensibile attenzione al paesaggio e alla sua luce, e ricordandosi di come, dipinta o fotografata, la montagna abbia sempre esercitato un grande fascino sugli artisti.
«Gli artisti – ha scritto Maria Cristina Rodeschini, Direttrice dell’Accademia e co-curatrice della mostra insieme a Filippo Maggia, nel testo in catalogo che accompagna la mostra – hanno sempre apprezzato i luoghi alti e in modo particolare chi vi è nato o li ha frequentati ha subito colto il lato magico di questi territori. (…) Si tratta di paesaggi incantati che hanno conservato nella maggior parte dei casi la splendida natura delle origini grazie a una fervente attenzione delle comunità che li abitano». Meravigliose visioni di questa splendida natura delle origini vengono restituite attraverso un dialogo tra i pittori della tradizione ottocentesca e la fotografia di Naoki Ishikawa (Tokyo, 1977) in un percorso che si apre e si chiude con due opere contemporanee rispettivamente di Matteo Rubbi e dei MASBEDO.
La ricostruzione delle Orobie di Matteo Rubbi, Tana del Drago, è un viaggio fatto a memoria, più simile a un racconto che a una mappa analitica. Originario di un paese della provincia, Seriate, e ora residente in Sardegna, Rubbi ha ricreato monti, fiumi, strade e paesi dall’interno di un garage servendosi della Tabula Peutingeriana, un rotolo di età imperiale romana. Condomini, capannoni e industrie che caratterizzano il paesaggio industrializzato delle valli si mischiano nell’opera a ville romane e porte di città restituendo, significativamente, la realtà delle Alpi Orobie, popolate dagli abitanti e dalle loro attività, oltre che dai turisti.
L’opera di Rubbi apre il percorso di Vette di Luce, che in termini visivi e concettuali raggiunge la vetta contemporanea scalando la storia. Scelti da Maria Cristina Rodeschini e Paolo Plebani, i dipinti di paesaggio della tradizione ottocentesca, di proprietà della Carrara ma anche concessi in prestito dal Club Alpino Italiano e da collezioni private, percorrono l’idea del sentiero montano e restituiscono l’osservazione dei fenomeni naturali documentando la rara bellezza del territorio e condividendola, indistintamente, con chi la conosce o la vede per la prima volta. La (metaforica) salita inizia con la monumentale Veduta del Pizzo della Presolana di Ermenegildo Agazzi che, appassionato, dipinse la montagna lungo l’intero arco della sua carriera artistica. Nella tela, appartenente al periodo milanese di Agazzi, intervallata dall’azzurro del cielo domina la tonalità grigia della roccia, composta per sovrapposizione di un’ampia gamma di tinte.
La vita fisica della montagna di Agazzi «pulsa immanente profondamente suggestiva», scrisse nel 1940 Aldo Fantozzi, riconoscendo nell’artista un pennello gagliardo e sensuale. Domina, la montagna, anche nelle tele di Camillo Galizzi, in cui «ogni centimetro di spazio è stato osservato e studiato» in funzione delle leggi dell’ottica seppur con un richiamo di fondo alla pittura romantica e una traduzione poetica di colori e di luce (Il Pizzo Redorta, 1935-40). Anche il fratello, Giovanni Battista Galizzi, si affermò nel genere paesaggistico, con una pennellata a tratti minuti e mossi che accenna alla tecnica divisionista. Mattino Sereno in val Brembilla – Serenità sulla Corna Quadra è «una potente ed emozionante interpretazione del paesaggio», ha scritto Angelini, da cogliersi nei piccoli tocchi di colore in cui è tradotta la luce e dalla scansione dell’immagine che restituisce, con forza, la scansione dei piani.
Gli otto dipinti a olio su cartone di Edoardo Francesco Bossoli, tra cui un pendant di panorami ripresi dal Corno Stella, quattro vedute con montagne e località, e due paesaggi con la rappresentazione di cascate delle valli bergamasche, testimoniano uno dei primi esempi nel secondo ‘800 di rappresentazione paesaggistica fedele, che va oltre l’idealizzazione emotiva e la trasfigurazione romantica. Diversamente da chi guardava più alla montagna che all’alpinismo, nelle sue opere Bossoli rappresenta le cime orobiche con particolare attenzione alla conoscenza della montagna necessaria all’escursionista. Anche Costantino Rosa si dimostrò, nei primi anni di attività, sensibile alle istanze di esatta documentazione dei luoghi, pur spingendosi – nella sua evoluzione – anche nella direzione di un’interpretazione più romantica. «Non venne però mai meno all’esigenza di una precisa documentazione di posti e luoghi», scrive Paolo Plebani a proposito dei venti studi dal vero – facenti parte di un più ampio fondo di sessantuno, acquistato dalla Carrara – esposti insieme a due maestosi paesaggi alpini del 1861, Paesaggio con montagne innevate e Cascate del fiume Serio.
Negli olii che descrivono la Val Taleggio, la Valle Brembana e la Val Seriana, Rosa mantenne la curiosità del naturalista, rinunciando «a intervenire sul dato di realtà con effetti esplicitamente pittoreschi», conclude Plebani. Alle sue composizioni si avvicina il modo di dipingere di Andrea Marenzi, che dipingeva dal vero coniugando definizione del dettaglio ed estasianti effetti chiaroscurali con una pennellata che sempre più immediata. Le opere esposte, entrambe vedute di cascate, offrono una visione romantica della potenza della natura: Le cascate del Serio sottolinea l’imponenza della natura, mentre Il pittore dipinge le sorgenti del torrente Enna con il Corno Zuccone in Val Taleggio offre una suggestione più intima.
La vastità dell’ambiente roccioso che Marenzi ha reso – ritraendosi immerso nella luce naturale con lo sguardo rivolto allo spettatore mentre, seduto sulla riva, ritrae le cascate – la ritroviamo, raggiungendo la vetta, nelle fotografie di Naoki Ishikawa, che è stato invitato in tre differenti periodi tra il 2022 e il 2023, assistito dalle guide del CAI, a esplorare le valli e le montagne bergamasche, entrando in contatto nella quotidianità con le comunità locali e visitando i centri di produzione delle loro attività, di allevamento e di produzione di latticini. Le fotografie in mostra interpretano il racconto dell’esperienza delle sue escursioni come tracce nel tempo in funzione della condivisione del viaggio. «Non conoscevo le montagne europee, e le Alpi Orobie sono state il mio primo incontro con questo paesaggio. Via via ho iniziato a percepire l’intera montagna come un corpo unico che andavo assimilando passo dopo passo», ha detto Ishikawa.
Emblematicamente il percorso si conclude con un’ascesa silenziosa, che racconta la solitudine di un dolore e la sua sublimazione: è la audio-video installazione del duo MASBEDO, Ricordo di un dolore, in cui un uomo porta sulle spalle una riproduzione del capolavoro di Pellizza da Volpedo – di proprietà dell’Accademia Carrara – mentre scala le Alpi Orobie per raggiungere la vetta della Presolana.
Fuori dalla Carrara, nell’anno di Bergamo Brescia Capitale della Cultura, un percorso culturale diffuso porta le fotografie di Ishikawa in 5 luoghi del territorio e 17 riproduzioni di capolavori dell’Accademia in 17 rifugi CAI ad alta quota. Camminare, osservare, scoprire. Vette di Luce, essa stessa un’escursione, spinge lo sguardo oltre per comporre e definire una nuova visione, che sente e mantiene su di sé e in sé il tempo che scorre, dai pittori dell’800 a Ishikawa.