Due ricerche orientate all’essenza, tese ai limiti della rappresentazione, che convergono in un unico Viaggio di Luce: questo il titolo della mostra che mette in dialogo le opere di Claudio Parmiggiani e Abel Herrero. Presentata dal Museo Novecento di Firenze, curata da Sergio Risaliti e organizzata da MUS.E e Associazione Kontainer, la mostra è visitabile alla Galleria delle Carrozze di Palazzo Medici Riccardi, prorogata fino al 20 febbraio. Inoltre, sabato, 10 febbraio, alle 18:30, presso il Cinema La Compagnia, si terrà la lectio magistralis di Massimo Recalcati dal titolo Viaggio di luce introdotta dal direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti.
Se il dialogo proposta dalla mostra è inedito, le premesse si possono rintracciare già diversi anni, nel 2006, quando Abel Herrero decise di ospitare e curare al Museo Nacional de Bellas Artes de La Habana l’installazione Silencio a voz alta di Claudio Parmiggiani, la più grande Delocazione ambientale mai realizzata dall’artista, celebre per le sue opere di cenere e fumo realizzate a partire dal 1970. Quella collaborazione artistica, coronata a Cuba, è stata rielaborata a Firenze, in forma compiutamente espositiva, in un unico spazio condiviso nel quale le opere dei due artisti possono confluire.
Nella Galleria delle Carrozze, quattro grandi barche sembrano sospese nella direzione, di andata o di ritorno, in ogni caso di allontanamento. «Come memorie di un viaggio, sono quasi diventate ombre di se stesse. Viaggiano nell’immobilità », si legge nel testo che accompagna la mostra. «Non ho una concezione nichilista della vita perché non so nemmeno cosa sia la vita. Sento che è un grande dono; il dono di poter osservare il mondo, di poter osservare gli occhi di un mio simile, il miracolo di poter camminare su questa terra», ha spiegato Claudio Parmiggiani che, nella sua lunga carriera, avviata negli anni ’60, ha incrociato l’Arte Povera e il Concettuale.
Alle pareti sono quindi esposte le grandi tele monocrome di Abel Herrero, sulle quali le superfici si agitano come in un mare di colore. Herrero opera una riappropriazione in chiave contemporanea del classico soggetto della veduta marina, che qui diventa una rappresentazione della condizione umana, «Un paesaggio della società massificata e dell’ideologia del produce-consuma-produce… Paesaggio dell’assimilazione passiva, della sopportazione della dottrina dell’alienazione e dell’impossibilità di accedere alla contemplazione in quanto categoria psicologia sempre più negata», nelle parole dell’artista di origini cubane e di base in Italia.
«Un intenso dialogo dove l’opera di Parmiggiani, installata ma fortemente improntata sulla narrazione pittorica, subisce una metamorfosi che tramuta l’andamento orizzontale delle quattro sculture, cariche di pigmenti colorati, in una catarsi verticale fatta di grandi tele sature di colore puro, di pura luce».
Nato a Luzzara, nel 1943, Claudio Parmiggiani si è formato all’Istituto di Belle Arti di Modena. Giovanissimo, frequentò Giorgio Morandi e cominciò a utilizzare per le sue opere calchi in gesso dipinti, definiti dall’artista “pitture scolpite”. Nel 1965 realizzò la sua prima mostra alla libreria Feltrinelli di Bologna, nello stesso periodo si avvicinava al Gruppo 63, a “il verri” di Luciano Anceschi, mentre a Milano intratteneva rapporti con Vincenzo Agnetti ed Emilio Villa con il quale stabilì un lungo sodalizio.
Del 1970 sono le prime Delocazioni, opere realizzate con fuoco, polvere e fumo, definite “sculture d’ombra” da Georges Didi-Huberman, che rappresentano una radicale riflessione sul tema dell’assenza e della traccia, sviluppato ancora successivamente fino a divenire linea portante di tutto il suo lavoro. Negli ultimi 40 anni, Claudio Parmiggiani ha concentrato la sua pratica sui temi della memoria, dell’assenza e del silenzio, ricerca un’immagine o un oggetto in grado di trascendere il tempo e l’esperienza individuale per evocare una verità universale ed esistenziale. I suoi materiali sono polvere e cenere, fuoco e aria, ombra e colore, luce e pietra, vetro e acciaio, sangue e marmo. Assemblando frammenti del mondo, campane, farfalle, libri, stelle, statue, barche fa nascere immagini insolite che, nella loro tragica bellezza, ci sembrano stranamente familiari.
Pubblica negli anni numerosi libri-opera. Ha presentato le sue opere presso numerose altre prestigiose istituzioni internazionali, pubbliche e private. Tra i suoi interventi permanenti, Il faro d’Islanda (2000), Ex-voto al Museo del Louvre (2007), Porta Speciosa per il Sacro Eremo di Camaldoli (2013) e l’opera presso la Camera degli Amori di Villa Medici a Roma (2015).
Nato a L’Avana nel 1971, Herrero vive e lavora in Italia dal 1994, risiedendo tra Milano, Parma, Venezia e la Toscana senese, studiando la storia dell’arte e dell’iconografia europea. La sua pratica artistica spazia tra dipinti, sculture e installazioni fino alle fotografie, muovendosi in un territorio di confine tra figurativo e non figurativo.
Nel 2006 a Cuba fonda il progetto Guest Thinkers con incontri e confronti tra ospiti internazionali e le istituzioni cubane. Tra gli invitati, oltre a Claudio Parmiggiani, anche altre personalità dell’arte e della cultura, quali Gianni Vattimo, Emanuele Severino, Jannis Kounellis.
Vive nella campagna toscana dal 2010, dove ha iniziato la sua ricerca sul paesaggio legata al concetto di saturazione, fenomeno che consiste nel portare al limite, all’esasperazione, i valori di resistenza di un corpo o di un elemento.
«Non è il mondo visibile ad essere saturo, è il nostro sguardo che satura il visibile in quanto tutto ciò che viene guardato dall’occhio di massa diventa preda di quella forma di relativismo ottico fagocitante e bulimico che fa si che qualsiasi immagine venga ingoiata e sputata, esaltata e cancellata simultaneamente. La pittura, la più importante e nobile forma di rappresentazione, cioè d’immagine, viene a sua volta coinvolta in questo drammatico scenario nel quale tutto è uguale a tutto e a niente. Credo per ciò nella grande possibilità dell’artista, nel mio caso del pittore e della pittura, di poter igienizzare l’immagine dall’inquinamento di contenuto a cui è sottoposta, sottraendola alla nausea dell’iperconsumo visivo», spiega l’artista.
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