Nel 1800, il fisico William Herschel avvicinò un termometro allo spettro prodotto da un prisma di vetro e scoprì che il mercurio continuava a salire anche dove non c’era più luce visibile. Fu il primo esperimento di radiazione infrarossa (dal latino infra, “sotto”), che utilizza il rosso come colore visibile con la frequenza più bassa. Guardando il pigmento che predomina nelle opere di Claudio Coltorti (Napoli, 1989) in mostra alla Galleria Acappella di Napoli, ci si chiede se possa esistere un legame platosmotico, tendente all’inarrivabile ma che finisce per essere assorbito, con questo fenomeno.
Terza serie sembra essere infatti, almeno fino a ora, l’ultimo stadio dell’evoluzione del colore per l’artista che, nella sua ricerca, cerca di andare oltre il figurativo e l’astratto e di far scattare delle relazioni.  A differenza delle precedenti serie, qui l’immagine è ghostata, come se i sensori dell’artista avessero convertito in olio l’immagine che si diverte a passare da nuance monocromatiche a “falsi colori”, per riprendere la fisica. «Il reale ora è nebulizzato – scrive nel testo critico Fabrizio Maria Spinelli – e si dà come una macchia, un indistinto, una toppa – ecco rinuncia a diaframmi o a stampelle riconoscibili e si manifesta come lapsus, come manque-à -être».
La presenza umana resta percepibile nella sua calda intimitĂ che trova nella forma indefinita il suo mistero. Parti del corpo, come mani e volti, sembrano rievocare immagini cubiste, primordiali, che nella visione unitaria di Coltorti si fondono, abbandonando la frammentazione, a favore di un realismo essenziale e avvolgente.
A fare da conduttore di messaggi portatori di una carica energetica dalle sfumature intrinseche, come un codice da decifrare, sono i colori che albeggiano dal giallo che trasmuta in arancione, al verde acqueo e al melanconico blu violaceo. Il formato medio delle tele non sembra bastare. Le forme vivono una vita a noi sconosciuta, come se le vedessimo da dietro un vetro, quasi appannato. L’allestimento, nell’intimo spazio che la Galleria Acappella ci propone, pare metterci davanti a un corpus di opere che dialogano tra loro, alcune in coppia, simulando un movimento immaginario fatto di presenze e assenze in armonia.
Se la sensazione è quella di trovarsi dall’altra parte, come nel film Arrival di Villeneuve, allora potremmo scoprire di essere noi il termometro che subisce il fascino dell’attrazione.
La mostra di Claudio Coltorti sarĂ visitabile alla Galleria Acappella di Napoli fino al 5 marzo 2024.
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