Turning Heads prende ispirazione dallo sviluppo di uno specifico genere artistico: lo studio del volto, noto in olandese antico come “tronie”. Un genere che ha suscitato grande interesse nel XVII secolo, quando artisti del calibro di Rubens, Rembrandt e Vermeer hanno dedicato il loro talento alla rappresentazione del volto umano. Il risultato? Opere spesso di dimensioni ridotte ma dipinte, disegnate o incise in modo sorprendente, le opere in mostra al KMSKA (Royal Museum of Fine Arts) di Anversa sono intime, capaci di avvicinarci in un moto particolare a questi grandi maestri.
È tra il XVI e XVII secolo che gli artisti iniziano una rivoluzione nel mondo dell’arte, il volto umano non è più solo un elemento all’interno di scene bibliche e mitologiche, è soggetto principale. Un gioco per gli artisti, che si divertivano a studiare i volti e ad animarli con costumi ed espressioni esagerate. Molte di queste opere erano infatti solo studi, fatti su supporti casuali, per catturare un’espressione spontanea. Alcuni però, proprio per la loro bellezza (e un po’ per la volontà dei mercanti di trarre profitto anche da questi schizzi), venivano completati in seguito da mani diverse e vendute come quadri.
Turning Heads non è però una mostra di ritratti, anzi, il suo intento è proprio quello di allontanarsi da questa categoria. Artisti come Rubens, Rembrandt e Vermeer usavano modelli anonimi per condurre esperimenti creativi di propria iniziativa. Una mostra che riunisce ben 76 capolavori dalle collezioni belghe e internazionali per raccontare questo genere artistico. I modelli non dovevano essere riconoscibili, rinunciavano ai loro “diritti d’immagine” e non richiedevano di essere nominati. Turning Heads presenta proprio questo tipo di volti, persone del tutto comuni, la cui storia è raccontata dal proprio viso.
I curatori, Nico Van Hout e Koen Bulckens, hanno pensato per i visitatori un percorso che permetta di seguire l’evoluzione del genere attraverso i secoli, mantenendo Rubens e Rembrandt come guide costanti nel corso della mostra. Artisti come Rubens e i loro contemporanei delle Fiandre meridionali sono infatti cresciuti con i volti dipinti dai loro predecessori. Era un metodo che serviva a due scopi principali. Innanzitutto, i volti disegnati dal vero potevano essere assemblati come un ingegnoso puzzle a seconda del personaggio che dovevano rappresentare, con emozioni e costumi appropriati. Questi volti venivano poi usati per allenare gli aspiranti artisti che venivano a imparare il mestiere da Rubens e i suoi contemporanei.
Nella guerra tra i Paesi Bassi spagnoli e la Repubblica Olandese, la tregua di dodici anni (1609-1621) fu un breve periodo di pace ma gli artisti ne approfittarono per visitare i colleghi al di là del confine. Rubens, ad esempio, viaggiò in Olanda due volte, mentre Frans Hals visitò Anversa nel 1616. I maestri olandesi che fecero il viaggio verso sud nelle loro opere. Nello stesso periodo il mercato connesso alle opere religiose nel nord collassò a seguito dell’ascesa del protestantesimo. L’attenzione si inizia a concentrare quindi sulle persone e sulle loro attività quotidiane. Hals, Rembrandt, Vermeer e altri artisti si cimentarono con le immagini dei volti, trasformando ciò che era un’attività pratica in un nuovo genere, le “tronie”.
Una delle caratteristiche più interessanti è proprio quella delle diverse espressioni facciali che esprimono un’ampia gamma di sentimenti. Gli artisti si sono mostrati immensamente curiosi nell’esplorare emozioni di base come gioia, paura, rabbia e tristezza. Nel XVII secolo, è poi nata l’idea che gli spettatori potessero provare le stesse emozioni rappresentate nelle opere, un volto felice, ad esempio, avrebbe potuto rendere felice lo spettatore.
Altri artisti hanno cercato espressioni più estreme, veri e propri giochi facciali volti a illustrare le loro abilità tecniche. Sia Adriaen Brouwer che Joos van Craesbeeck erano interessati a una mimica tridimensionale. Brouwer, ad esempio, utilizzava una bevanda amara per far distorcere il volto del suo modello. Van Craesbeeck, d’altra parte, dipinse un soggetto che soffia anelli di fumo, in cui sembra che ogni singolo muscolo facciale fosse attivato. Più tardi, Franz Xaver Messerschmidt si spinse ancora oltre: le sue sculture di teste sono infatti costituite interamente da espressioni iperintense.
Come sarebbe possibile tutto questo senza un accurato gioco di luci e ombre? La luce è una delle sfaccettature più importanti di queste opere. Gli artisti trattavano il volto umano come una superficie ideale per proiettare la luce e l’ombra, conferendo carattere e volume al volto. La passione per i volti coincideva con quella per la luce. Rembrandt e Vermeer sono noti per la loro maestria in questo campo, ma Jan Lievens, che ha lavorato con Rembrandt a Leida per cinque anni, era altrettanto abile nell’uso delle sfumature di luce raffinate. La sua Ragazza di Profilo sembra quasi brillare alla luce del sole.
La mostra si conclude con Ragazza con un Cappello Rosso (National Gallery of Art, Washington), una delle opere più piccole di Vermeer, che sintetizza tutto ciò che Turning Heads rappresenta. La luce danza su un cappello con piume esotiche, mentre l’espressione della ragazza è misteriosa e invitante. Concludendo una mostra che porta i visitatori in un viaggio nel tempo, tornando indietro fino al XVI e XVII secolo, in un incontro personale e intimo con volti ricchi di carattere.
Questo percorso principale è arricchito da un percorso parallelo che si interseca con il primo in cui sono disponibili anche esperienze interattive, sia digitali che analogiche, che esplorano ulteriormente il tema dell’esposizione e lo portano fino ai giorni nostri.
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