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Women Power. Ad Abano Terme le donne attraverso le fotografie dell’agenzia MAGNUM
Mostre
di Elisa Gremmo
Women Power, al Museo Villa Bassi Rathgeb di Abano Terme, è parte di un percorso comunale più ampio gestito dall’assessora alla cultura Michela Allocca. Questo percorso è dedicato alla sensibilizzazione sulla condizione delle donne e unisce vari settori della cultura sviluppandosi attraverso incontri al cinema, al teatro e conferenze, oltre che altri eventi collaterali.
Il titolo della mostra, curata da Monica Poggi e Walter Guadagnini, è particolarmente esemplificativo, perché l’immaginario che viene rievocato in prima battuta è connesso alla rappresentazione di un potere maschile. Invece, è interessante notare come il potere delle donne che viene cercato e raffigurato dalle fotografe si trova negli anfratti della società e non è così immediatamente visibile.
La mostra si sviluppata in sei temi differenti: il contesto famigliare; la crescita; l’identità; le dive del passato; le battaglie politiche e la guerra. Tuttavia, osservando la mostra fotografica, possiamo notare che il potere delle donne risiede in tre punti fondamentali: la famiglia, la bellezza e il corpo. Elementi che rendono evidente il contrasto con l’immaginario comune legato al potere maschile.

Come accennato, il luogo che storicamente viene associato alla femminilità è la dimensione della famiglia. Essere madre è una prerogativa della donna e, come documentato dalle immagini I primi cinque minuti di vita di un neonato di Eve Arnold, questo potere si manifesta nel momento stesso della nascita. Ma il vero fulcro dell’esercizio dell’autonomia femminile è la casa. Sono due le serie di fotografie a sostegno di questo. La prima è Sevla di Paolo Pellegrin, che racconta di una matriarca rom proveniente dalla Bosnia, ma che vive a Roma con la sua numerosissima famiglia. La seconda è la serie As It May Be di Bieke Depoorter, iniziata nel 2011 in Egitto nel pieno della primavera araba. Depoorter, chiede agli sconosciuti incontrati per strada di poter essere loro ospite per la notte, riuscendo così a immortalare gli spazi più intimi della quotidianità all’interno delle loro case. Anni dopo, ritorna negli stessi luoghi per chiedere alle famiglie che la avevano ospitata di scrivere dei commenti sulle fotografie che aveva scattato. Ne riporto qualcuno: “Non si può fotografare una donna mentre dorme, qualsiasi uomo potrebbe vederla”; “Dormire e mangiare sono faccende private, non si dovrebbero esporre, ma tenere nascoste”; “Anch’io mi trucco prima che gli altri si sveglino, così non vengo punita”; “Come ha potuto permettere che sua moglie venisse fotografata in questa maniera?”.

Un altro strumento di potere femminile è sicuramente la bellezza. Una delle stanze della mostra è interamente dedicata a Marilyn Monroe, diva indiscussa, che viene raccontata attraverso gli scatti di Eve Arnold, Inge Morath ed Elliott Erwitt. Marilyn Monroe, persino mentre si rassetta i vestiti o quando ha i piedi gonfi vanta una bellezza in grado di ammaliare chiunque – è, per così dire, un’icona muta.
D’altronde è risaputo: la bellezza non implica l’uso di parole, ma di corpi. Proprio per questo motivo, quando diventa troppo fragorosa o desta delle attenzioni non desiderate, può venire messa a tacere facilmente con un intervento sul corpo. Sto pensando alla fotografia di Robert Capa, esposta al primo piano di Villa Bassi. Questo scatto cristallizza il momento in cui una donna francese viene riaccompagnata a casa dopo essere stata punita con la rasatura della testa, colpevole di aver avuto un figlio da un soldato tedesco. È il corpo il mezzo principale per l’attuazione del potere femminile. Il corpo, tra le varie opportunità che offre, permette alla donna di raggiungere la propria indipendenza economica. Lo dimostrano le fotografie di Susan Meiselas, che ritraggono le spogliarelliste del Club Flamingo impegnate a esibirsi nelle fiere e ne raccontano la vita privata al di là del palcoscenico.

Famiglia, bellezza e corpo sembrano quindi essere i luoghi per eccellenza dell’esercizio del potere femminile. Un potere silenzioso, talmente silenzioso che si può esprimere solamente ai margini della normalità. Eppure – come testimoniano le fotografie dell’attivista irachena Nadia Murad (di Cristina De Middel) o delle guerrigliere colombiane della FARC (di Newsha Tavakolian) o delle manifestanti per l’accesso all’aborto in Polonia (di Rafał Milach) o ancora delle rivoluzionarie libanesi (di Myriam Boulos) – una voce c’è, anche se sembra faticoso riuscire a trovarle un posto all’interno della società.
Emblematica, in questo senso, è la scelta della locandina della mostra. È una fotografia di Newsha Tavakolian concepita come la copertina di un album immaginario raffigurante una donna in piedi nel mezzo di una strada di Teheran con in mano dei guantoni da boxe. La fotografia denuncia la legge in vigore in Iran dal 1979, che impedisce alle donne di produrre album musicali e di esibirsi in pubblico. Per tutto il percorso della visita ho cercato dove risiedesse il potere delle donne. L’esercizio del comando che avviene in famiglia, in certi casi viene confinato alle mura domestiche o espresso ai margini della società. Se la possibilità di essere un oggetto di desiderio rende influenti, la bellezza è un potere talmente effimero da poter essere soppresso in un attimo. E anche se può portare all’indipendenza economica, non credo che la prostituzione sia la massima espressione dell’autonomia femminile.
Viene quindi da chiedersi: quando il problema di avere una voce diventerà il potere di avere una voce?
