Le due prime volte di Luca De Leva (Milano, 1986): prima volta da Pinksummer e prima in cui inserisce il progetto Thyself Agency all’interno di una personale. Due, come gli imponenti lavori sulla parete di fondo della Pinksummer. Due schedature, da una parte c’è quella di Luca e dall’altra quella della fidanzata, Emma Rose, su un fondo stropicciato che disturba in ogni sua piega. Una scrittura in corsivo, padroneggiata più stando attenti alle proprie esigenze comunicative che a quelle di chi dovrà leggere, in un documento istituzionale e frugale al tempo stesso. Un perimetro personale, dove specificare anche cose apparentemente superflue, tipo “love to cook italian dishes”. Sì, Luca ama cucinare italiano e non è un dettaglio, perché una passione non è mai un dettaglio nella conoscenza di una persona. Men che meno in questo caso.
A questo punto, Andrea Rossetti si trova in un limbo: è all’inaugurazione di una mostra di cui ha letto tutto il comunicato, senza ancora essersi interfacciato con Luca. È nella situazione di chi ha capito qualcosa, ma quel qualcosa non gli basta a padroneggiare la situazione. Finché la sua attenzione non è presa dai campi “descrizione oggettiva” e “descrizione soggettiva”: la differenza tra palco e retropalco, tra quello che si dà a vedere e quello che più dentro non si vede. Tra l’apparire e l’essere. Differenza che si assottiglia nel momento in cui qualcuno sceglie di entrare nella tua vita, appropriandosene. E tu fai lo stesso con la sua. Finché non arriva Luca.
Thyself Agency è un’agenzia viaggi. Un agenzia viaggi particolare, un gioco a due dove l’unica meta è la vita del proprio partner di gara. Luca racconta che tutto ha preso piede nel 2011 a Beirut, quando è lui stesso ad essersi scambiato la vita con un ragazzo di Oslo. Vivere la vita di un altro, sono questi i viaggi che organizza Thyself Agency.
Se c’è un’andata, è lecito pensare a un ritorno. Ecco, su questo punto non c’è alcuna garanzia. Non fraintendete, non è che possa accadere nulla di male: Luca su questo aspetto non ha dubbi, ci parla del percorso spingendo sempre sull’accezione positiva. «Si va sempre verso un un miglioramento» dice lui, aggiungendo che lo scambio «è impegnativo, però anche divertente». È solo che se io dico a Luca «dopo essersi scambiati vita uno torna alla propria più consapevole di sé», Luca ribatte «non è detto, perché magari si può tornare diversi ancora da come si era». Ergo: nella vita si può essere qualcuno, qualcun altro o nessuno dei due.
Fiammetta, la sorella di Luca. Che Luca ha ritratto a carboncino e tecnica mista in vari momenti “rubati”, mai formali. Momenti in cui Fiammetta, più che un personaggio sfuggente, è una persona presa semplicemente per sé stessa, senza dover dimostrare nulla. Lei, che come tutti d’altronde, vive in una società strapiena di persone ossessionate dal dimostrare qualcosa, legate ossessivamente a quella “descrizione oggettiva” di cui sopra, più forte di tutto.
Fiammetta la si incontra nella sala a fianco, in quello spazio-appendice che la Pinksummer offre ai suoi artisti. E di cui Luca si è servito per creare «una mostra nella mostra», un focus su colei che ha innescato tutto. Fiammetta ha un ritardo mentale che non le fa sviluppare una crescita “regolare”; in qualche modo il suo è un tempo straniante ed estraneo alla percezione comune, pur vivendo, come tutti noi, in una società che su tempo e tempistiche ha improntato la sua sopravvivenza. Fiammetta – volente o nolente – non ha paura del tempo, non ha “fame di tempo”: chi scrive sta probabilmente messo moto peggio di lei, chi sta leggendo può essere.
Quella tenda di pantaloni, che divide in due la personale di Luca, è una curiosa trovata. Ma è anche altro. Tempo fa, con un artista si parlava di un’arte fatta incentrandosi sui processi di ricerca, da anteporre alla semplice produzione di opere. Concezione che non esula dal farti passare attraverso dei pantaloni tagliati e appesi, elemento confortante/riconoscibile di un invito a uscire dai propri panni. Per entrare in quelli di qualcun altro. Per migliorare.
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