Wynnie Mynerva, veduta della mostra, Fondazione Memmo, Roma, 2024, ph. Daniele Molajoli
Le ex scuderie di Palazzo Ruspoli, sede della Fondazione Memmo, offrono l’opportunità di scoprire l’opera della sua ultima artista in residenza, la peruviana Wynnie Mynerva. Mynerva ha esordito nel 2017 e già lo scorso anno ha tenuto una personale al New Museum di New York, intitolata The Original Riot.
La mostra a Palazzo Ruspoli, curata da Alessio Antoniolli, propone un’esperienza “immersiva” attraverso opere di grandi dimensioni che affrontano temi profondamente personali ma, al contempo, universali, come la scoperta di una malattia cronica da parte dell’artista. Le opere in mostra sfidano l’idea che la malattia sia solo una battaglia medica, proponendo invece una riflessione più ampia sulle esperienze di infermità e invalidità, e invitano gli spettatori a esplorare i propri limiti.
Wynnie Mynerva descrive il suo processo creativo come “un’antropofagia culturale”, che in questo caso è rappresentata dall’assimilazione e trasformazione della ricchezza artistica di Roma durante la sua residenza.
Nella realizzazione delle opere in mostra l’artista ha impiegato alcune tecniche per la prima volta, come il carboncino e l’utilizzo del vetro soffiato. L’esposizione si articola in diverse sale, ciascuna con un approccio unico e suggestivo.
La prima sala presenta tre grandi fogli bianchi sospesi, attraversati da ampie tracce di carboncino, dalla forte intensità espressiva e con una corposa consistenza materica.
La seconda sala, cuore dello spazio espositivo, si articola come un moderno soffitto affrescato, con quattro grandi tele circolari che evocano la maestosa tela di Andrea Pozzo nella Chiesa di Sant’Ignazio. Mynerva trae ispirazione anche da On Being III di Virginia Woolf, che esplora il cambiamento di prospettiva del malato, costretto a guardare il mondo dal suo letto.
L’ultima sala della mostra, un sacello sacrale, ospita oggetti in vetro creati da Mynerva a Murano. Questi reliquiari, bagnati di sangue e dall’aspetto organico, ricordano parti del corpo e microrganismi, enfatizzando l’ambiguità del vetro, materiale leggero e trasparente ma anche pericoloso quando viene rotto. Questi oggetti rappresentano l’ecosistema di relazioni che Mynerva ha costruito, dalla sua famiglia a Venezia, fino alla residenza romana.
L’opera di Mynerva esplora la bellezza e il pericolo, modificando e manipolando il corpo in una narrazione fluida che indaga sessualità, genere, violenza e malattia. La mostra è intrisa di spiritualità pur collocandosi al di fuori del contesto “religioso”, trasmette speranza ricorrendo al linguaggio dell’arte anziché a quello della fede o della scienza, e invita a una riflessione contemporanea e profonda sul corpo e la malattia.
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