Più che aspettare è importante sapere se, al di là della soglia, c’è qualcuno o qualcosa che ci aspetta. “YOHAKU”, realizzato da collettivo damp e curato da Innesto | Spazi di ricerca tratta propio di questo, dell’idea di soglia, concetto dalla natura fortemente ambigua e complessa che può esprimere la più tenace forma di integrazione, come le più drammatiche forme di esclusione. L’installazione site-specific rappresenta un nuovo capitolo della storia di Spazio Volta nella memoria di un pubblico non solo addetto al settore ma anche quotidiano: lo spazio si affaccia su Piazza Mercato delle Scarpe, alle porte di Città Alta, e ospita mostre temporanee in una ex fontana trecentesca, cara ai cittadini bergamaschi. È, esso stesso, una soglia, resa ancor più evidente dall’intervento di collettivo damp, che ha circoscritto lo spazio della vetrata ritagliando un punto di vista che vincola, e al contempo limita lo sguardo dello spettatore, obbligandolo a focalizzarsi su di un punto preciso, su quel labile confine colmo di possibilità.
Il nostro occhio, rispondendo a un’attitudine della nostra mente che tende a cercare e a rispondere all’uniformità, non si fermerà all’oscurità preponderante ma sarà richiamato all’unica porzione di vetrata superstite, che un sistema di di nebulizzazione opacizza attraverso la condensazione. Il cambiamento di materia, così come il nostro tentativo di guardare oltre e guardare attraverso, sono metaforici di un comune, e urbano, fenomeno: la concentrazione.
La tesi lewiniana secondo cui ciascun individuo può irradiare un campo di potere personale che includa tutte le possibili interazioni con altre persone e oggetti in uno spazio fisico particolare, sembra qui prendere forma: possiamo considerare “YOHAKU” un campo entro il quale noi, il pubblico, diventa parte dell’azione che collettivo damp ha messo in opera stimolandoci a creare il nostro agire. Di fronte a un impedimento fisico indugiamo e il senso di insicurezza rispetto a ciò che si trova oltre genera un senso di impotenza. Ma se, coraggiosamente, accettiamo l’invito di oltrepassare la soglia, insieme con la sensazione di spaesamento, allora avremo accesso privilegiato al luogo del possibile. La visione ridotta mina allora quell’uniformità cui rispondiamo, rivelandosi potente strumento a vantaggio dello sguardo.
Non solo dall’esterno, bensì anche dall’interno. Da fuori lo sguardo entra, da dentro lo sguardo esce: guardiamo e siamo guardati, di nuovo siamo corpi immersi nel dialogo nel tentativo estremo di far venire alla superficie ciò che è invisibile.
«Entrare in dialogo significa superare la soglia dello specchio», scriveva Zygmunt Bauman.
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