«Ho invertito la cronaca dei nostri quotidiani invitando a riflettere sul fenomeno del femminicidio e sulle sue assurdità». Il cuore di “YOU ARE MINE” di Daniela Comani risiede esattamente qui, nell’inversione di generi e ruoli: l’uomo diventa donna, la vittima diventa carnefice e viceversa.
Nel Corridoio Bazzani della Galleria Nazionale quindici stampe, ingrandite su un materiale di cotone e alluminio e accartocciate, divulgano fatti di una cronaca popolata da donne impetuose e violente, mogli gelose, ex fidanzate che non accettano il tradimento o la fine di una relazione, accanto a uomini che subiscono violenze di ogni genere, picchiati, inseguiti, violentati. «Comani – dice la curatrice Miriam Schoofs – rende gli uomini vittime di violenza all’interno delle loro stesse dimore. L’effetto di questo rovesciamento sovversivo è sorprendente, proprio perché siamo abituati a individuare il colpevole nella figura maschile».
‘Lo ha ammazzato perché lui si è negato al suo desiderio’. ‘Una vendetta perché la vittima si rifiutava di intrecciare con la sua aggreditrice una relazione sentimentale’. ‘Di ritorno da una serata con gli amici, l’avrebbe selvaggiamente picchiato e poi costretto a seguirla’.
Alcuni dei fatti così narrati risultano surreali, quasi comici, volendo con questo intendere che sono di per sé avvertimenti del contrario. Stonano con la realtà, sono contrari agli esiti drammatici della violenza di genere, una delle piaghe più vergognose e diffuse nella nostra società. Per questa via, verrebbe da dire cara a Pirandello, Daniela Comani stimola una riflessione che, lavorando in noi, ci fa andare oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro. Passando dall’avvertimento del contrario al sentimento del contrario riconosciamo la più antica e duratura forma di oppressione esistente: il dominio maschile sulle donne. È inutile appellarsi alla scienza o passare in rassegna qualche manuale di storia dell’umanità, non esiste alcun fondamento a una simile discriminazione che impedisce alle donne, solo perché donne, di essere al sicuro e al riparo da uomini prevaricatori e violenti che agiscono e si nascondono molto spesso tra le mura domestiche.
L’effetto scultoreo enfatizza, non in forma commemorativa, piuttosto performativa, la natura del tema trattato, come un blocco di sensazioni presenti e persistenti protese al futuro. Quando si parla di femminicidio si esprime la forma estrema della violenza di genere contro le donne, prodotto dalla violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato attraverso condotte misogine quali i maltrattamenti, la violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria e istituzionale. Non è mai un fatto isolato, al contrario è l’ultimo atto di un ciclo di violenze, che individua una responsabilità sociale e statale nel persistere, ancora oggi, di un modello socio-culturale in cui la donna è subordinata, soggetto da discriminare, violare e uccidere.
Non esiste difesa, talvolta neanche la consapevolezza delle donne stesse può bastare.
Daniela Comani, consapevole, donna e artista, ci offre una via culturale, un’occasione di apprendimento, un momento di educazione, per combattere – accanto a madri, padri, sorelle, fratelli, figlie e figli – l’invisibilità e il silenzio. Per tutte le violenze consumate, per tutte le umiliazioni subite, per i corpi violati, per le intelligenze calpestate, per le libertà negate, per le ali tappate. Per tutto questo: «in piedi, signori, davanti ad una Donna».
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