Categorie: Musei

Art in Japan: reportage dall’isola del Sol Levante, attraverso i musei

di - 12 Maggio 2023

Il Giappone ha riaperto le frontiere dopo aver affrontato la pandemia imponendo la chiusura totale degli ingressi agli stranieri e proponendo alla popolazione, così isolata, di seguire le indicazioni dell’imperatore sui comportamenti di protezione reciproca nella vita quotidiana, norme non perentorie che tutti hanno adottato.

Questa premessa può aiutare ad avvicinarsi a un paese non facile da interpretare e valutare e a misurare meglio la forza delle loro tradizioni che contraddistingue tutte le forme espressive della cultura e delle attività creative e del loro vivere civile. In questa fase nella quale l’avanzare del XXI secolo ancor più appiana le eccellenze e la riconoscibilità delle diverse città del mondo stravolte dallo sviluppo e dalla modernizzazione, colpisce molto ritrovarsi di nuovo in contesti urbani molto caratterizzati e che traspirano altri codici, altri comportamenti e un proprio specifico immaginario. E così si scorgono meglio le motivazioni profonde del conflitto fra il loro sentimento di superiorità e identità “sovranista” e la fascinazione per il lontano occidente, ancora inconsciamente considerato responsabile della pressoché totale distruzione bellica di intere città e vaste popolazioni.

Maison Hermès

Un quadro certo schematico e incompleto di quel mondo che può così descriversi: in città pulitissime, vasti parchi, votati alle diverse confessioni, costellati di portali ed edifici sacri buddisti e shintoisti di forme e stili per noi poco distinguibili si mescolano con architetture di elegante e tendenzialmente sobria modernità, come la Maison Hermes di Renzo Piano a Tokyo o il Museo d’arte contemporanea del XXI secolo dello Studio Sanaa a Kanazawa e con raffinati giardini di pietre, rivoli d’acqua e ponticelli; folle brulicanti sono in perenne movimento di lavoro o di svago sotto i giganteschi manga pubblicitari istallati su maestosi grattacieli o si dedicano a cerimonie shintoiste di immersione, non purificatrici ma augurali, in acque specificamente destinate ad appagare desideri diversi; grandi porzioni di paesaggio sono state stravolte da sterminati agglomerati e condomini dormitorio in contesti urbani per lo più deserti intrecciati con distese di casette anonime o con l’aspetto di finte “mini pagode” serrate fra loro. E ovviamente vaste estensioni naturali defilate, con tipologie botaniche e orografiche per noi inusuali.

Museo d’arte contemporanea del XXI secolobocs

Forse l’istanza di riaprire i contatti con l’occidente e il controverso storico legame con l’Europa e in particolare con la Francia ha motivato la scelta di organizzare la mostra “La Bretagne, source d’inspiration: regards de peintres français et japonais” al National Museum of Western Art di Tokyo, iniziativa che può definirsi allusiva, ellittica e tipica dell’elegante formalità nipponica. Non tutti ricordano che questo museo, realizzato da Le Corbusier su tassativa indicazione delle potenze alleate negli anni cinquanta, per ospitare quella Collezione Matsukata, raccolta dall’omonima dinastia di armatori, requisita dalla Francia alla fine della guerra e poi restituita al Giappone dallo stesso governo francese come segno di riappacificazione; patrimonio vastissimo di opere che fornisce una quota significativa dei materiali esposti nella mostra.

Claud Monet Cave at Port-Domois 1886 Oil on canvas The museum of Modern Art, Ibaraki

Il testo di presentazione dell’esposizione è un illuminante squarcio sulla proiezione della selfconsciousness nipponica: «La Bretagna, una penisola che si protende nell’Atlantico all’estremo angolo nord-occidentale della Francia…la Bretagna indipendente resistette a lungo ai suoi potenti vicini, Gran Bretagna e Francia, e mantenne la propria lingua anche dopo l’incorporazione alla Francia nel XVI secolo. […] ha mantenuto gran parte del suo carattere originale: abbondanti caratteristiche naturali che vanno da coste frastagliate e brughiere rocciose a profonde foreste interne;…una popolazione devota alla fede cattolica e che pratica uno stile di vita semplice e pieno di colore locale….un paese sconosciuto all’interno della Francia – un’elegante similitudine con il Giappone isolazionista, e ancora  – la mostra apre anche nuovi orizzonti tracciando il progresso di artisti giapponesi contemporanei che hanno viaggiato in Francia dal tardo Meiji al periodo Taisho cioè per il resto del mondo dal 1868 al 1912».

Paul Gauguin Two Breton Girls by the Sea 1889 Oil on canvas The National Museum of Western Art, Tokyo (Matsukata Collection)

Le circa 160 opere esposte sono di grande interesse anche perché poco note in quanto provenienti da circa 30 collezioni giapponesi pubbliche e private, a meno delle tre opere Nantes del 1829 di William Turner dallo Château des ducs de Bretagne Musée d’histoire de Nantes e Contadine bretoni del 1894 di Paul Gauguin e Tempesta, Costa di Belle-Île del 1886 di Claude Monet dal Musée d’Orsay;  stupisce anche il valore degli artisti giapponesi proposti molto poco conosciuti, a parte il ben noto e affermato Léonard Tsuguharu Foujita, che hanno senza particolare successo di fama soggiornato e lavorato in Francia e in Europa a cavallo dei due secoli scorsi. Tra questi val la pena segnalare Yamamoto Kanae e Kume Keiichirō le cui produzioni intrecciano il segno pittorico e materico impressionista con la tecniche esecutive tradizionali e la paesaggistica nipponica.

In effetti una stimolante inversione del punto di vista per noi che ci emozioniamo nello scoprire la presenza cospicua della grafica giapponese nella casa di Monet a Giverny. Nell’ampia gamma di materiali finalizzati a dare un quadro articolato della peculiarità di quella temperie artistica e culturale manifesti, ceramiche grafica e finanche un baule in legno la cui proprietà viene attribuita a Foujita con le etichette novecentesche degli Hotel Lutetia – Paris, Bertolini Palace – Naples, Hotel del Corso – Padova.

Kuroda Seiki Girl of Bréhat 1891 Oil on canvas Artizon Museum, Ishibashi Foundation, Tokyo

Nello stesso spirito di integrazione e scambio con l’occidente si pone la riapertura a Tokyo nel gennaio 2020, con il nuovo nome di Museo ARTIZON, del Bridgestone Museum of Art fondato nel 1952. Il nuovo nome Artizon è stato coniato combinando le parole Art e Horizon, per indicare il senso dei nuovi orizzonti presente nell’arte. Oltre ai dipinti impressionisti e giapponesi in stile occidentale del periodo moderno per i quali la Ishibashi Foundation Collection che gestisce il museo è un punto di riferimento, le nuove acquisizioni includono sia dipinti astratti del dopoguerra che le prime opere giapponesi del periodo Edo, con l’obiettivo di allestire mostre di arte antica e contemporanea. Questa collezione, risultato della passione artistica di tre generazioni della dinastia industriale degli Ishibashi a partire dalla fine degli anni ’30, durante la chiusura per la realizzazione della nuova sede aveva girato per i musei del mondo ed era tra l’altro approdata all’Orangerie nella primavera-estate 2017.

Dall’incontro tra un altro grande imprenditore Soichiro Fukutake dell’omonima casa editrice e Chikatsugu Miyake all’epoca sindaco di Naoshima, nacque agli inizi degli anni ’90 il progetto di Naoshima, il luogo delle iconiche zucche di Kusama Yayoi affacciate sul mare. Dopo l’esperimento del Naoshima International Camp, nel 1992 nacque il Benesse House Museum disegnato dall’architetto Ando Tadao per inserirsi nello scenario incontaminato del Setonaikai National Park: un intervento che arricchisce l’ospitalità di lusso di un hotel con opere d’arte installate nelle stanze o negli ambienti comuni accessibili solo agli ospiti.

Progressivamente nuovi interventi museali affidati tutti allo stesso Ando hanno trasformato una riposta isola di pescatori in un centro di arte contemporanea, sede di festival annuali distribuiti anche nelle isole limitrofe, fino alle ultime realizzazioni del marzo 2022: il nuovo spazio espositivo per le opere di Sugimoto Hiroshi, il Time Corridor estensione dello spazio espositivo all’aperto del Benesse House Park, la nuova installazione “la casa da tè in vetro Mondrian” di Sugimoto e il museo inaugurato nel 30° anniversario del Benesse Art Museum chiamato Valley Gallery, il nono edificio di Ando sull’isola.

Come molte delle opere di Ando, il museo è realizzato in cemento con pareti e coperture “rotte” da fenditure per far entrare la luce naturale e ospita il Narcissus Garden di Kusama, prima installato nel Benesse House, ora ampliato per occupare spazi sia all’interno che all’esterno della Valley Gallery e lo Slag Buddha 88 di Tsuyoshi Ozawa, anch’esso prima esposto nel Benesse house.

La Valley Gallery si trova di fianco al Chichu Art Museum costruito nel 2004 collocato sottoterra (chichu significa letteralmente nel suolo) progettato per una collezione permanente costituita di soli tre artisti: Claude Monet, le cui opere occupano il nucleo centrale dell’edificio, Walter de Maria e James Turrell.

Chichu Art Museum

La sala dedicata a Monet è un’esperienza spaziale e sensoriale di rara intensità: le cinque opere appartenenti al ciclo delle Ninfee, circondano uno spazio bianco ricoperto di marmo che assume e riflette la variazione luminosa dell’esposizione solare e la riverbera sulle opere con un’infinita mobile varietà di luce puramente naturale. Un’ardita reinterpretazione e variazione della novecentesca soluzione adottata nelle due storiche sale delle ninfee all’Orangerie suggestione e modello preferito all’altra installazione emozionante creata da Piano alla Fondation Beyeler per altre Ninfee esposte in una sala bagnata da uno stagno fiorito, dietro una grande vetrata.

Water-Lily Pond C.1915-26 Water Lilies, Cluster of Grass , 1914-17 Water Lilies , 1914-17 Water-Lily Pond , 1917-19 Water Lilies, Reflections of Weeping Willows , 1916-19

La stessa dialettica tra distanza e immersione nella percezione dell’opera caratterizza la soluzione spaziale per Open Field di James Turrell fatto di luce e colore. Per l’opera Time/Timeless/No Time di Walter De Maria la soluzione si articola in un percorso buio che riceve luce solo da una feritoia fino a un piccolo giardino di sassi dalla forma triangolare e infine giunge all’opera di De Maria una scalinata imponente con al centro una sfera scura e riflettente.

Walter De Maria, Time/Timeless/No Time , 2004

Il Lee Ufan Museum del 2010 è un omaggio all’artista contemporaneo coreano Lee Ufan, riconosciuto a livello internazionale come il maggior esponente del movimento giapponese Mono-ha, che sul finire degli anni ’60 propose una pratica artistica dedita all’esplorazione sistematica dei materiali naturali e industriali e del loro rapporto con lo spazio. L’edificio di Ando, anche in questo caso infilato e nascosto nella terra acclive, combina il calcestruzzo a vista con la natura che lo circonda e gli spazi aperti facilitano l’uso esclusivo della luce naturale per illuminare installazioni uniche nel proprio genere, fatte di pietra, cemento e lastre di ferro oltre a una serie di dipinti realizzati agli inizi della sua carriera.

Un ultimo frammento da aggiungere a questa selezione parziale di spunti e di informazioni su una realtà complessa e da noi molto distante non solo geograficamente: sul lato opposto del grande arcipelago, affacciata sul conteso Mar del Giappone di fronte alla Corea del Nord, a Kanazawa una delle poche città scampate alla distruzione bellica, il Museo d’arte contemporanea del XXI secolo degli architetti dello Studio SANAA si presenta ancora, dopo vent’anni di esercizio, all’altezza delle aspettative e del ruolo per cui era stato ideato.

Un polo permeabile all’accoglienza dell’intera comunità urbana in un grande volume circolare su un solo piano, completamente trasparente al livello di una grande piazza in centro città; un polo attrattivo con opere di grande comunicatività, per esempio The Swimming Pool di Leandro Erlich o L’uomo che misura le nuvole di Jan Fabre, e ricco di proposte e di esposizioni temporanee; in questi mesi fra le altre Intervalli dell’immagine residua del fotografo giapponese Gu Kenryou che utilizza una tecnica originale nota come “tessitura digitale”, in cui più fotografie vengono intrecciate insieme a livello di pixel per creare opere fotografiche con una qualità materica simile al tessuto.

Un’esperienza questa di Kanazawa da tenere a modello esemplare per un progetto di museo aperto.

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