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Doveva essere la risposta dell’Africa alla Tate Modern ma i primi passi sono stati a dir poco incerti, culminando con l’allontanamento con disonore di Mark Coetzee, accusato di molestie e vessazioni al personale. Eppure per il MOCAA – Zeitz Museum of Contemporary African Art di Cape Town i giochi sono tutt’altro che finiti e, a rilanciare l’immagine di quello che dovrebbe essere il più grande museo dedicato all’arte africana e della diaspora, dovrà pensarci la nuova direttrice, Koyo Kouoh. Che, eletta nel 2019, sembra avere tutte le carte in regola e apre il 2020 con un programma che si annuncia di primissimo livello.
Zeitz o MOCAA? Questioni freudiane
Che poi, da quelle parti, in pochi lo chiamano Zeitz Museum, preferendo usare l’acronimo di MOCAA. Un vezzo linguistico, freudianamente significativo. Perché il museo è stato fondato nel 2017 in seguito a un accordo tra V&A Waterfront – la società che gestisce il porto nel quale il museo sorge – e l’imprenditore e collezionista tedesco Jochen Zeitz, i cui interessi economici e relazioni sono diffusi in tutto il Continente. Per esempio, oltra a entrare in varie multinazionali, tra le quali la Puma – brand che veste moltissimi atleti africani – Zeitz fa anche parte del board del Kenya Wildlife Service, una società statale fondata nel 1989 per conservare e gestire la fauna selvatica dello Stato keniota. Per non parlare del V&A, cioè Victoria & Alfred, rispettivamente la Regina Vittoria e il figlio Alfred, che diede forte impulso allo sviluppo del porto di Cape Town ma che, oggi, è più un grande centro commerciale, con centinaia di negozi, hotel e una Virgin Active Gym.
Insomma, MOCAA suona meglio, quantomeno libero dal peso di complesse storie coloniali. Ma l’augurio è di liberarsi anche dall’ostentato riferimento al MOCA – Museum of Contemporary Art di Los Angeles. D’altra parte, la collezione non è affatto male, chiaramente incentrata sulle opere di artisti africani come Chris Ofili, Kudzanai Chiurai, Kehinde Wiley, Glenn Ligon, Marlene Dumas, Wangechi Mutu, Julie Mehretu.
La sfida di Kouoh
Kouoh è stata nominata del New York Times come una tra le figure più influenti del panorama culturale africano, ha studiato in Svizzera e in Francia, ha vissuto a Dakar e per il nuovo inizio del MOCAA propone quattro nomi tutt’altro che banali: Abdoulaye Konaté, Alfredo Jaar, Tracey Rose, Senzeni Marasela. Inoltre, sarà ancora visitabile fino a marzo 2020 la ricca antologica di William Kentridge, il campione dell’arte contemporanea in Sud Africa.
Stato che, a sua volta, si propone come motore trainante del collezionismo africano, grazie anche alla presenza della Investec Cape Town Art Fair, la cui ottava edizione si svolgerà dal 14 al 16 febbraio 2020, proponendo una selezione delle migliori gallerie provenienti dal Continente ma non solo. Per esempio dall’Italia che, come da tradizione per questa fiera – qui il nostro report dell’ultima edizione – è ben rappresentata con Apalazzo, Cellar Contemporary, Eduardo Secci, Giorgio Persano, Mimmo Scognamiglio/Placido, Prometeogallery che, evidentemente, puntano sul potere attrattivo della fiera.
«Le sfide sono alte, non sono ingenua. Conosco molto bene gli ostacoli e le difficoltà ma credo fermamente che il MOCAA sia una delle iniziative artistiche più importanti del continente oggi e possa essere trasformato in un importante strumento di conversazione, negoziazione e conservazione», ha dichiarato Kouoh ad Artnews.
L’ottimismo della nuova direttrice sembra aver contagiato anche il personale che, oltre alle molestie di Coetzee, ha dovuto sopportare anche un certo malcontento da parte dei commentatori e dei fruitori. L’accusa era quella di inesperienza. Si tratta in effetti, per la maggior parte, di giovani neolaureati alla prima esperienza e, quindi, impreparati a reggere il peso di un’aspettativa così alta. D’altra parte è solo in questo modo, rischiando e osando, che si può formare una nuova generazione di specialisti della cultura. Magari con la guida delle giuste persone.
Zeitz MOCAA 2.0: un nuovo programma, per ripartire alla grande
Il nuovo programma espositivo partirà il 12 febbraio, con una nuova opera monumentale di Abdoulaye Konaté, specificamente realizzata per l’atrio del Zeitz MOCAA. Nato nel 1953, Konaté vive e lavora a Bamako, nel Mali, ed è «il frutto di questa generazione di artisti post-coloniali, che recuperano valori autoctoni, pratiche rituali, identità culturali, contro gli effetti omologanti della globalizzazione, come il tessuto di cotone utilizzato al posto della pittura», scrivevamo nella nostra recensione di una sua mostra alla Primo Marella Gallery di Milano, nel 2016. Ancora in Italia, avevamo visto altre sue opere in occasione di Arte Fiera, per una mostra di opere di artisti africani dalla collezione di Marino e Paola Golinelli.
Il 27 marzo si prosegue con Alfredo Jaar, che presenterà una serie di lavori selezionati per The Rwanda Project, progetto realizzato tra il 1994 e il 2000, in seguito a un periodo di permanenza del famoso artista cileno in Rwanda.
Il primo maggio, film, sculture, fotografie, performance, stampe, dipinti e altro ancora per “Shooting Down Babylon”, grande antologica di Tracey Rose accompagnata da un catalogo ragionato che farà il punto sulla ricerca dell’artista nata a Durban, nel 1974, e attualmente a Johannesburg. Rose ha esposto già in diverse importanti occasioni, come Documenta 14 e le Biennali d’Arte di Venezia del 2001, nel Padiglione centrale curato da Harald Szeemann, e del 2019, nel Padiglione Sudafrica, insieme a Mawande Ka Zenzile e Dineo Seshee Bopape.
Il 29 maggio, infine, lo Zeitz MOCAA presenterà un focus su Senzeni Marasela, artista che, nella sua ricerca, affronta i temi del patriarcato e delle migrazioni, con un punto di vista particolare sulle condizioni di lavoro delle donne nere. Nata l’11 febbraio 1977, Marasela ha già esposto al MoMA di New York, alla 56ma Biennale di Venezia nel 2015 e, come Rose, fa parte della scuderia della Goodman Gallery, una delle gallerie d’arte contemporanea più interessanti al mondo, con base proprio in Sud Africa, a Johannesburg e a Cape Town.