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Concluso il restauro della Pietà di Michelangelo dell’Opera del Duomo di Firenze
Musei
di redazione
Il restauro della Pietà di Michelangelo dell’Opera del Duomo, nota come Pietà Bandini, conservata a Firenze nel Museo dell’Opera del Duomo, era «iniziato nel novembre 2019, interrotto più volte durante la pandemia da Covid 19, […] è stato un’occasione unica per comprendere la complessa storia dell’opera, le varie fasi di lavorazione e la tecnica scultorea utilizzata», ha spiegato l’istituzione.
Il restauro ha permesso di chiarire due aspetti fondamentali per la comprensione «di uno dei capolavori più intensi e tormentati di Michelangelo, liberato dai depositi superficiali che ne alteravano la leggibilità e la cromia»: le analisi hanno «confermato che l’opera fu realizzata con un marmo difettoso per la presenza di numerose microfratture, in particolare di una sulla base, che potrebbe aver “costretto” Michelangelo ad abbandonare la scultura». «L’enorme blocco di marmo su cui è scolpita – inoltre – proviene dalle cave medicee di Seravezza e non di Carrara come ritenuto fino ad oggi», si legge nel comunicato stampa.
«L’obiettivo del restauro, è stato quello di raggiungere una lettura uniforme ed equilibrata dell’opera, riproponendo l’immagine della Pietà, scolpita in un unico blocco, come probabilmente pensata in origine da Michelangelo. Grazie alla scelta di realizzare un cantiere di restauro “aperto” i visitatori del Museo dell’Opera del Duomo hanno potuto vedere il restauro in corso d’opera. In via eccezionale, per i prossimi 6 mesi, dal 25 settembre 2021 al 30 marzo 2022 (qui potete trovare informazioni su orari e visite guidate), l’Opera di Santa Maria del Fiore ha deciso di lasciare il cantiere per permettere al pubblico, con delle visite guidate, di vedere da vicino e in un modo unico e irripetibile, la Pietà restaurata», ha proseguito l’istituzione.
«Il restauro commissionato e diretto dall’Opera di Santa Maria del Fiore grazie alla donazione della Fondazione non profit Friends of Florence, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza ABAP per la Città Metropolitana di Firenze e le Province di Pistoia e Prato, è stato affidato alla restauratrice Paola Rosa, che ha maturato una trentennale esperienza su opere di grandi artisti del passato tra cui Michelangelo, con la collaborazione di Emanuela Peiretti, coadiuvate da un’equipe di professionisti interni ed esterni all’Opera», precisa il comunicato.
Il restauro
«Le quattro figure che compongono l’opera, tra le quali l’anziano Nicodemo a cui l’artista ha dato il suo volto, sono scolpite in un blocco di marmo, alto 2 metri e 25 centimetri, del peso di circa 2.700 kg. Le indagini diagnostiche hanno portato alla scoperta che si tratta di un marmo proveniente dalle cave di Seravezza (LU) e non di Carrara, come ritenuto fino ad oggi. Una scoperta significativa perché le cave di Seravezza erano di proprietà medicea e Giovanni de’ Medici, futuro Papa Leone X, aveva ordinato a Michelangelo di utilizzarne i marmi per la facciata della chiesa di San Lorenzo a Firenze e di aprire una strada per trasportarli al mare. Come mai questo enorme blocco di marmo fosse nelle disponibilità di Michelangelo a Roma, quando scolpisce la Pietà tra il 1547 e il 1555, rimane però un mistero. Sappiamo anche che Michelangelo non era soddisfatto della qualità di questi marmi perché presentavano venature impreviste e microfratture difficili da individuare dall’esterno. Grazie al restauro è stato possibile confermare, per la prima volta, che il marmo utilizzato per la Pietà era effettivamente difettoso, come racconta anche il Vasari nelle “Vite” descrivendolo duro, pieno d’impurezze e che “faceva fuoco” a ogni colpo di scalpello. Sono, infatti, emerse tante piccole inclusioni di pirite nel marmo che colpite con lo scalpello avrebbero certamente fatto scintille, ma soprattutto la presenza di numerose microfratture, in particolare una sulla base che appare sia davanti che dietro, e che fa ipotizzare che Michelangelo incontrandola mentre scolpiva il braccio sinistro di Cristo e quello della Vergine, sia stato costretto ad abbandonare l’opera per l’impossibilità di proseguire il lavoro. Un’ipotesi più credibile di quella di un Michelangelo che oramai anziano, scontento del risultato, abbia tentato in un momento di sconforto di distruggere la scultura a martellate e delle quali il restauro non ha individuato traccia, a meno che Tiberio Calcagni non ne abbia cancellato i segni. Questo che si è appena concluso, può essere considerato il primo restauro della Pietà fiorentina, in quanto le fonti non riportano particolari interventi avvenuti in passato, se non quello eseguito poco dopo la sua realizzazione da Tiberio Calcagni, scultore fiorentino vicino a Michelangelo, entro il 1565. Nell’arco di oltre 470 anni di vita, durante i numerosi passaggi di proprietà e le traumatiche vicende storiche, la Pietà è stata sottoposta a vari interventi di manutenzione che però non risultano documentati perché considerati semplici operazioni di routine», si legge nel comunicato.
Tra storia e salvaguardia
«La Pietà dell’Opera del Duomo a Firenze, carica di vissuto e sofferenza, è una delle tre realizzate dal grande artista. A differenza delle altre due – quella giovanile vaticana e la Rondanini – il corpo del Cristo è sorretto non solo da Maria ma anche da Maddalena e dall’anziano Nicodemo, a cui Michelangelo ha dato il proprio volto. Particolare confermato anche dai due biografi coevi all’artista, Giorgio Vasari e Ascanio Condivi, grazie a cui sappiamo anche che la scultura era destinata a un altare di una chiesa romana, ai cui piedi l’artista avrebbe voluto essere sepolto.
Michelangelo scolpisce la Pietà dell’Opera del Duomo nota come Pietà Bandini tra il 1547 e il 1555, quando aveva circa settantacinque anni. Michelangelo non termina la scultura e la dona al suo servitore Antonio da Casteldurante che, dopo averla fatta restaurare da Tiberio Calcagni, la vende al banchiere Francesco Bandini per 200 scudi, il quale la colloca nel giardino della sua villa romana a Montecavallo», ha ricordato il Museo dell’Opera del Duomo. La scultura conosce successivamente una vita travagliata, in cui cambia proprietario e viene spostata in vari luoghi tra Roma, Livorno e Firenze. «Dal 1942 al 1945, per proteggerla dalla guerra, la Pietà è messa al riparo in Duomo. Nel 1949, l’opera ritorna nella Cappella di Sant’Andrea in Cattedrale, dove rimarrà fino al 1981, quando sarà spostata nel Museo dell’Opera del Duomo. La decisione di trasferirla al Museo è motivata dalla necessità di non arrecare disturbo al culto per la grande affluenza di turisti e per ragioni di sicurezza (nel 1972 era stata vandalizzata la Pietà vaticana). Dalla fine del 2015, nel nuovo Museo dell’Opera del Duomo, la Pietà è posta al centro della sala intitolata Tribuna di Michelangelo, su un basamento che rievoca l’altare a cui era destinata», ha proseguito il museo.