Negli ultimi anni, molte istituzioni europee, americane e australiane si sono impegnate per affrontare con maggiore sensibilità e consapevolezza la complessa sfida della decolonizzazione dei musei, un argomento sempre più dibattuto che ha portato all’urgenza di riflettere e di rappresentare le diverse voci presenti all’interno delle collezioni museali e, più in generale, il contesto socioculturale circostante. A inserirsi con determinazione in questo dibattito è il museo di arte contemporanea di Rotterdam, da noi finora conosciuto come Witte de With Centre for Contemporary Art, il quale ha annunciato che abbandonerà ufficialmente il suo nome dai rimandi coloniali per ribattezzarsi Kunstinstituut Melly.
Il nuovo nome, Kunstinstituut Melly, che entrerà ufficialmente in vigore dal 17 gennaio 2021, è volutamente in forte contrasto con la denominazione precedente, onorando in questo caso la figura dell’antieroina per eccellenza Melly, una donna della classe operaia alle prese con un lavoro che detesta, rappresentata dall’opera dell’artista concettuale Ken Lum, intitolata Melly Shum Hates Her Job (1989). Si tratta di un lavoro composto in due parti: la foto di una giovane donna seduta alla scrivania del suo ufficio e un testo che riprende il titolo dell’opera, sottolineando l’estenuante frustrazione di Melly nell’affrontare la giornata lavorativa.
L’opera, tuttora presente su un cartellone pubblicitario sulla facciata del museo, venne presentata per la prima volta nel 1990 in occasione dell’inaugurazione dello spazio espositivo, diventando ben presto talmente popolare tra il pubblico da renderla un’opera permanente. Melly, emblema della donna lavoratrice, rappresenta un vero e proprio simbolo per i cittadini di Rotterdam, i quali si sono ben presto affezionati a quel personaggio sorridente all’angolo tra Boomgaardstraat e Wittte de Withstraat, immedesimandosi nel risentimento espresso dall’opera nei confronti di una vita trascorsa inevitabilmente a lavorare. Scegliendo un omaggio all’imponente opera dell’artista canadese dalla lunga tradizione locale, l’istituzione sottolinea la volontà di confrontarsi e dialogare con la città di Rotterdam e con i suoi cittadini, confermando la comunità come parte imprescindibile all’interno dell’istituzione.
La richiesta di rinominare il museo viene sollevata per la prima volta del 2017 dal critico Edbert Alejandro Martina, il quale puntò il dito contro l’istituzione, accusandola di chiudere codardamente gli occhi di fronte alla storia coloniale da cui prendeva il nome. Witte Corneliszoon de With, infatti, fu un colonizzatore che prese parte all’assedio di Jakarta del 1618, stabilendo una base commerciale della compagnia delle Indie Orientali che rimase in attività per oltre 300 anni.
Deciso a portare alla luce le contraddizioni interne, Martina pubblicò una lettera firmata da un gruppo di artisti e attivisti, i quali richiedevano al museo di modificare il proprio nome. È in quell’occasione che il centro d’arte di Rotterdam ha deciso di dare il via a un processo di ridenominazione che, come la stessa direttrice Sofía Hernández Chong Cuy ha affermato, «Risponde alle rivendicazioni sollevate dall’ampio movimento decoloniale» e che, nei quasi tre anni successivi, avrebbe richiesto il parere di oltre 280 partecipanti tra forum e sondaggi online, oltre ad un comitato consultativo esterno e ben 70 componenti per la revisione pubblica.
L’ufficializzazione del nuovo nome del Kunstinstituut Melly rappresenta solo uno dei passi avanti del museo, il quale accompagnerà l’iniziativa con una programmazione volta a rispecchiare la sua «nuova visione politica». Sebbene infatti il governo olandese si sia espresso duramente contro l’ipotesi di rimozione delle statue di famosi colonialisti, il museo di Rotterdam riconosce l’importanza del dialogo aperto con la comunità, affinché si possano intrecciare preziose riflessioni sul significato delle istituzioni e sulla loro responsabilità all’interno della collettività.
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