«Situata in un colle di aere saluberrimo, di amenità singolare nel cuor del Piceno, presso al seno Adriatico, non lungi dai monti Appennini» – disse Sisto V – si può arrivare a Fermo in treno, fiancheggiando la costa con l’impressione di toccare il mare fino alla stazione di Porto San Giorgio-Fermo, e poi proseguire con un mezzo pubblico in prossimità dell’arco che si apre su Piazza del Popolo. Cuore della città, la Piazza custodisce la storia sotto lo sguardo vigile di Sisto V (la scultura fu realizzata nel 1588 dal toscano Accursio Baldi detto il Sansovino), Tra il Municipio, la Biblioteca e la Pinacoteca, da Piazza dei Priori la visita si articola passo dopo passo, palazzo dopo palazzo, in una serie di itinerari costellati di chiese, cortili e opere d’arte e di archeologia.
Il circuito museale di Fermo – che comprende Palazzo dei Priori, Cisterne Romane, Teatro dell’Aquila, Musei Scientifici, Museo Civico Archeologico, Museo Diocesano, Terminal Mario Dondero e Museo Archeologico di Torre di Palme – ha scelto di raccontare le proprie attività ordinarie e straordinarie, come gli interventi conservativi sulle opere d’arte come i lavori di allestimento del nuovo Museo Archeologico e di alcune sezioni della Pinacoteca Civica, in un racconto fotografico intitolato Retroscena. Curato da Sinopia, con la collaborazione di Maggioli Cultura e Turismo, questo progetti si articola nel Museo Archeologico fermano, che trae le sue origini dal museo privato dei fratelli Gaetano e Raffaele De Minicis e affonda le proprie radici nella tradizione settecentesca delle wunderkammers o stanze delle meraviglie, in parte nel culto neoclassico dell’antico di cui Winckelmann fu massimo teorizzatore e di cui furono illustri esponenti l’italiano Scipione Maffei ed il tedesco Athanasius Kircher. Qui, i volti di operatori, restauratori, funzionari, tecnici, studiosi e amministratori, protagonisti attivi del circuito museale, offrono una nuova prospettiva dei musei svelandone la vita segreta e la profonda, nonché straordinaria, apertura alla comunità. Sono dunque tratti e sguardi, che all’improvviso diventano la sola realtà, l’enigma più importante dell’universo, a condurci attraverso una storia infinitamente ricca di tesori sotterranei e palazzi sontuosi, come le Cisterne Romane e Palazzo dei Priori.
Le prime testimonianze moderne sulle Cisterne Romane risalgono alla fine del ‘500. Fu Gaetano De Minicis, a metà ‘800, a intuire che le stanze sotto il convento di San Domenico (sede del Museo Archeologico in costruzione) erano parte di una Piscina Epuratoria di epoca romana. Costruite – secondo le indicazioni inizialmente impartite da Vitruvio – tra il I secolo a.C e il I secolo d.C con lo scopo di conservare l’acqua potabile da distribuire in città, le Cisterne romane di Fermo sono tra le più antiche e grandi al mondo, sviluppandosi in 30 sale divise su tre file per un totale di 2.200 metri quadrati. Per molto tempo furono abbandonate e dimenticate, poi le cisterne furono parzialmente recuperate verso la fine dell’Ottocento, quando tornarono per circa un secolo all’originaria funzione di acquedotto cittadino. Profonde e invisibili, durante la seconda mondiale le Cisterne furono usate anche come rifugio, di cui sono testimonianza alcune frecce nere dipinte sui muri per facilitare l’uscita quando erano completamente al buio.
Alla fine del XIX secolo sei stanze furono chiuse, isolate dalle altre e rivestite con un moderno strato di impermeabilizzazione per essere utilizzate come serbatoio idrico dell’acquedotto della città. Alla fine degli anni ’80 del ‘900 fu però deciso di dismettere il serbatoio e rimettere in comunicazione le sale. Oggi la struttura complessiva conserva ancora le bocche d’ingresso, i tubi di uscita dell’acqua e l’ingresso originale – non più utilizzabile – per l’ispezione e la manutenzione dell’edificio. Nel 1974 all’interno delle Cisterne furono girate alcune scene del film Delitto d’autore, Sylvia Koscina e Luigi Pistilli, oggi sono uno spazio vivo e vissuto: spettacoli, mostre, concerti e attività didattiche riempiono le sale e animano gli antichi ambienti.
Tornando in superficie, risaliamo verso Palazzo dei Priori, che dopo essere stato il luogo per eccellenza della vita politica della città, è diventato, dagli anni Ottanta del secolo scorso, sede della Pinacoteca civica. Superate le stanze di rappresentanza – la Sala dei Ritratti, con i dipinti di nove cardinali fermani, tra cui Decio Azzolino il Giovane, e quelli di ventuno uomini illustri; la Sala dei Costumi, dove sono conservati abiti di priori, giubbe e livree di valletti, trombettieri e donzelli; la Sala del Sindaco e la Sala Consiliare – possiamo ammirare le pale di Rubens e Giovanni Lanfranco, il ciclo di dipinti murali di Andrea Boscoli e un importante nucleo di opere appartenenti alla collezione dell’architetto fermano Giovan Battista Carducci, dispersa dopo la sua morte nel 1879, tra le quali il Busto di Cristo in marmo – da alcuni attribuito a Michelangelo – esposto nella sala del Mappamondo. Lungo il percorso c’è spazio anche per un’opera di Vedovamazzei del progetto Bell, ideato e curato da Matilde Galletti, con cui Fermo si è aggiudicata il premio PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea, promosso dalla DGCC – Direzione Generale Creatività Contemporanea del MIC – Ministero della Cultura.
La Sala del Mappamondo prese il suo nome nel 1713 quando venne collocato al suo interno il mappamondo in legno e carta reale di Fabriano del geografo Silvestro Amanzio Maroncelli. Completamente arredata con scaffalature in legno di noce, la stanza ospita parte del fondo antico della Biblioteca Comunale, donato dal fermano Romolo Spezioli, medico personale della regina Cristina di Svezia. Intorno al mappamondo e nelle scaffalature, le lettere romane a identificare i vari scaffali e le antichissime poltrone che rendono la sala un luogo dal fascino millenario. Il contatto, in questo scrigno prezioso, con il tesoro inestimabile di conoscenza e sapere che custodisce proietta nel tempo presente la formula del diploma di laurea rilasciato dall’Università di Fermo dal 1585 al 1826: «Firmana Civitas, antiquitate, nobilitate ac literarum armorum rerumque gestarum gloria, celebris atque insignis, a qua et universam Piceni regionem, Marchiam Firmanam denominatam fuisse legitur.» (La Città di Fermo, celebre ed insigne per antichità, per nobiltà, per gloria delle lettere, delle armi, dei fatti, delle gesta, dalla quale anche l’intera Regione Picena si scelse che fosse denominata Marca Fermana).
La visita può proseguire in direzione del Teatro dell’Aquila, in continua rinascita e tra i più grandi teatri storici delle Marche; verso i Musei Scientifici o verso il Terminal Mario Dondero, luogo vivo e vivace centro culturale e di accoglienza; come anche verso la maestosa Cattedrale di Fermo, accanto alla quale ha sede il Museo Diocesano, fino alla frazione di Torre di Palme. Ovunque, il paesaggio – vera e propria forza naturale dell’intero territorio fermano – allieta lo sguardo. Arroccata attorno al colle del Girfalco, il cui parco ospita piante secolari e costituisce una delle più belle terrazze panoramiche della costa marchigiana, Fermo ha per proprie quinte naturali il Mare Adriatico, distante soltanto otto chilometri dal centro urbano, e lo scenario suggestivo di un dolce paesaggio collinare che si spinge fino alle pendici dei “monti azzurri” di leopardiana memoria, i Sibillini.
«Come un tempo veniva chiamato Fermo Piceno, così in altri tempi la Marca fu detta Fermana, essendo Fermo la prima Città che in questa provincia esistesse»: Fermo merita il nostro tempo.
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