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In occasione della Giornata Internazionale dei Musei, che cade domani, 18 maggio, abbiamo affrontato con Gianfranco Maraniello, Presidente uscente di AMACI – Associazione Musei d’Arte Contemporanea Italiani, il cui mandato terminerà alla fine di maggio 2020, alcune delle domande più frequenti che in questo periodo emergono in merito alla situazione attuale dei musei italiani d’arte contemporanea (e non solo) e sul loro futuro.
Nel rispondere alle domande Gianfranco Maraniello ha ricordato la grande eterogeneità che caratterizza i musei associati AMACI, la necessità di considerare la situazione dei musei caso per caso e la sostanziale impossibilità di dare risposte generali valide per tutti, in un momento, per di più, caratterizzato ancora da grande incertezza generale.
Quali sono le maggiori preoccupazioni dei musei AMACI in questo momento le quali sono le richieste più urgenti?
«In primo luogo direi che non si tratta di richiedere, ma di assumersi le responsabilità per quel che c’è di più urgente, ossia dobbiamo interpretare in prima persona uno scenario mai visto prima, ancora poco chiaro ai virologi stessi e assunto dalle amministrazioni pubbliche sotto l’enorme pressione economica e politica, in un orizzonte indecifrabile nei tempi e nelle prospettive: la priorità è la gestione di un’emergenza sanitaria nell’ambito degli spazi pubblici denominati “musei”, ossia agire in modo da tutelare il pubblico e i lavoratori.
In queste settimane ho ascoltato invece con perplessità una logica che ritengo poco condivisibile nell’assimilazione del concetto di urgenza con quello di rapida riapertura dei musei sotto l’assunto retorico della centralità della cultura. Basta il prolungarsi di una chiusura temporanea di alcune sedi per temere, semplicisticamente, una tale crisi di valori? Capisco il retro-pensiero e i sospetti di possibili ritorni a considerazioni sintetizzabili in posizioni come l’ormai celebre e scandaloso “con la cultura non si mangia”, ma non strumentalizzerei la situazione con un generico e assurdo pro o contro la rilevanza della cultura e, come in molti musei sta già accadendo, coglierei l’occasione per porre con coraggio quelle domande più radicali su che cosa possa essere un museo anche in assenza di quel pubblico di massa che è stato a lungo auspicato e che ha diffusamente descritto il valore delle istituzioni sull’unico parametro dell’audience».
Sono previste delle tutele per il personale dei musei, come ad esempio per il personale delle sezioni didattiche che, con le scuole chiuse, non può lavorare a pieno regime?
«Dipende dai casi e dalla natura giuridica dei musei. Alcuni possono prevedere misure in autonomia, la maggior parte dei musei di AMACI deve adeguarsi a provvedimenti più generali dell’amministrazione pubblica. Il tema però è rilevante e ancora una volta sono i precari e il personale a tempo determinato a essere i più in difficoltà. E non consola vedere che in altri Paesi la situazione è ben peggiore, come negli Stati Uniti, con licenziamenti repentini e in massa a ricordarci che alcuni modelli sono in realtà più fragili di quanto si sia voluto capire».
A quali misure o strategie AMACI sta lavorando o quali sta sostenendo a favore dei musei?
«AMACI sta condividendo know-how e informazioni tra i musei associati per buone pratiche di supporto nell’interpretazione del “da-farsi”. Siamo in frequente contatto e assiduo scambio di utili informazioni tra di noi e in confronto costante in diversi tavoli di lavori istituiti dal MiBACT così come dalla Farnesina nell’ambito del programma Cura Italia».
Molti musei riapriranno da domani, 18 maggio, in poi, ma molti avranno difficoltà a sostenere le spese per l’adeguamento alle misure di sicurezza sanitaria e, parallelamente, avranno minori introiti dalla vendita dei biglietti. Quali misure saranno attuate per aiutare i musei a far fronte alla nuova organizzazione?
«Le minori entrate da biglietteria riguardano solo una della voci di bilancio di ciascun museo. La situazione è più complessa e va inquadrata nella specificità di ogni istituzione. Non si tratta solo di compensare gli incassi di qualche mese per poi tornare a una normalità, quando sia il “tornare” che una preconcetta “normalità” sono oggi da porre radicalmente in questione».
Quanto inciderà la mancanza del turismo straniero sulla vita dei musei d’arte contemporanea?
«Inciderà notevolmente per quei musei che sono stati inquadrati principalmente nella spesso ripetuta legittimazione di utilità in quanto “volani del turismo” ed “elementi strategici nella filiera produttiva”. Non minimizzo questi aspetti, ma ora siamo obbligati anche a cambiare retorica e a più ampie riflessioni».
Il Ministro Dario Franceschini ha rilasciato qualche giorno fa una nuova dichiarazione, ma continua a non nominare l’arte contemporanea, il Premier Giuseppe Conte, invece, ha parlato di artisti come coloro che fanno divertire. Che cosa ne pensa AMACI? Quali attenzione vorrebbe dal governo?
«Sono aspetti che riguardano l’eco mediatica, forse gaffe o presunte omissioni che al massimo soddisfano dibattiti da social. Non ho alcuna malizia interpretativa e non mi interessa spostare il problema sui comportamenti e gli stili televisivi».
È stato possibile fare una stima di quanti eventi, mostre, etc. già programmati e a cui i musei stavano già lavorando che non potranno essere realizzati? Quanto peseranno sui bilanci dei musei le modifiche alla programmazione?
«Ogni museo in ogni parte del mondo sta facendo ciò per la rispettiva amministrazione. Non credo che sia possibile fare un simile bilancio nel suo complesso perché la situazione è ancora in divenire e siamo obbligati a costanti aggiornamenti che comportano sospensioni, rinvii, rivisitazioni. Non abbiamo bisogno di dati provvisori per spiegare la gravità della situazione, mentre dobbiamo responsabilmente e prudentemente governare la rotta di singole istituzioni nella tempesta ancora in corso».
Ci può dire una delle maggiori speranza, anche utopica, di AMACI per il prossimo futuro in merito alla situazione dei musei?
«Io dico sempre che i musei di arte contemporanea devono corrispondere e, insieme, reagire al proprio tempo. E ogni museo può fare ciò nell’analisi e nella contingenza della propria situazione. C’è da attendersi radicalità di interpretazione, una nuova critica delle istituzioni, l’instaurarsi di pratiche originali che faranno sentire l’anacronismo dei musei che si limitano ad attendere il ritorno a una storia ormai trascorsa».