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È lecito che un museo metta all’asta opere della propria collezione, per autofinanziarsi? Si tratta della pratica di deaccessioning ed è uno degli argomenti più scottanti nel dibattito museale degli ultimi anni. Ne abbiamo scritto in maniera approfondita in una nostra rubrica sul tema, sentendo le opinioni di direttori e curatori e, nelle ultime settimane, un nuovo caso ha risollevato una marea di polemiche. Il Langmatt Museum di Baden, in Svizzera, ha deciso di vendere tre opere di Paul Cézanne, come misura di emergenza per poter continuare ad aprire le proprie porte al pubblico, ha spiegato il direttore Markus Stegmann, che ha definita la scelta «Dolorosa» ma necessaria per la sopravvivenza stessa del museo.
L’ICOM – International Council of Museums, la principale organizzazione internazionale che rappresenta i professionisti museali e stabilisce gli standard professionali ed etici per i musei, non ci sta affatto. Non ha usato mezze parole Tobia Bezzola, presidente della filiale svizzera dell’ICOM, che a The Art Newspaper ha definito la manovra scandalosa. «Per ICOM è assolutamente vietato. Abbiamo scritto una lettera ufficiale alla Fondazione. Stanno svendendo parti fondamentali della collezione per finanziare i futuri costi operativi». Bezzola ha inoltre fatto notare che la vendita, qualora avesse luogo, potrebbe alla creazione di un precedente spinoso e controverso, del quale potrebbero avvantaggiarsi altre istituzioni in difficoltà finanziarie. Nelle sue linee guida, l’ICOM vieta espressamente il deaccessioning delle opere a copertura dei costi di gestione, stabilendo che «In nessun caso il potenziale valore monetario di un oggetto deve essere considerato come parte del motivo per determinare se procedere o meno alla sua vendita».
Stegmann ha affermato che la Fondazione Langmatt, istituita nei primi anni ’90 dalla città di Baden per gestire la collezione privata della famiglia Brown, è «Quasi insolvente». Il cuore della collezione è costituito da circa 50 dipinti impressionisti di artisti francesi, tra cui Cassatt, Degas, Gauguin, Monet, Pissarro, Renoir, Sisley e, appunto, Cézanne. La maggior parte die pezzi furono acquisiti tra il 1908 e il 1919, da Sidney e Jenny Brown, quando l’Impressionismo era considerato il movimento più all’avanguardia del momento. Nutrita anche la sezione dedicata alla Secessione di Monaco, con opere di Franz von Stuck, Leo Putz e Julius Exter. La collezione comprende anche mobili francesi del XVIII e XIX secolo, sculture, disegni e grafiche, tessuti, argenti e porcellane, nonché ceramiche cinesi. Il museo è ospitato negli spazi della bellissima e accogliente Villa Langmatt, risalente al 1899 e circondata da un parco nel quale si può anche fare un pic-nic. Ma senza la Fondazione, rischia seriamente non solo di chiudere ma anche di vedere dispersa la sua collezione, che fu donata dalla famiglia Brown alla città di Baden nel 1987.
Dalla sua apertura, il Museo ha richiesto una serie di interventi di manutenzione che, secondo quanto dichiarato dal museo stesso, hanno esaurito le risorse della Fondazione Langmatt. Nel 2017, la fondazione ha lanciato Future Langmatt, una campagna per garantire l’apertura del museo. La città, con l’aiuto del Cantone e di altri soggetti privati, si è impegnata a contribuire al restauro dell’immobile, mentre la Fondazione garantirà una base economica a lungo termine e finanziariamente sostenibile per l’attività del museo. Il progetto è stato finalizzato il 18 giugno 2023, con voto pubblico. Il Museo Langmatt riceverà ingenti fondi dalla Città di Baden e dal Canton Argovia per la ristrutturazione e il restauro del museo. Ma ora la fondazione Langmatt deve raccogliere 40 milioni di franchi per il suo fondo di dotazione e garantire gli interessi necessari la gestione del museo su lungo periodo.
Le tre opere di Cezanne scelte per questo “sacrificio” sono Fruits et pot de gingembre (ca. 1890-93), Quatre pommes et un couteau (1885) e La mer à L’Estaque (1878-79). Saranno battute all’asta da Christie’s il 9 novembre, in occasione della 20th Century Evening Sale, che si svolgerà durante la New York Fall Marquee Week. Il pezzo forte è Fruits et pot de gengembre, messo all’incanto con un stima da 35 a 55 milioni di dollari. Probabilmente realizzato nello studio che Cezanne teneva nella tenuta di famiglia, alla periferia di Aix-en-Provence, lo stesso luogo in cui dipinse la sua celebre serie dei Giocatori di carte, questo dipinto rappresenta una delle opere più riuscite e sensibili del grande artista, nella sua ricerca sul genere della natura morta.
Nella seconda opera, Quatre pommes et un couteau, con una stima da 7 a 10 milioni di dollari, è rappresentato uno dei soggetti preferiti e più famosi di Cezanne, la mela, mentre l’ultima opera in asta, La mer à l’Estaque, da 3 a 5 milioni di dollari, è una serena veduta paesaggistica.
«Le vendite nei musei sono processi altamente delicati», ha dichiarato Dirk Boll, Vice Presidente, 20th/21st Century Art, Christie’s EMEA. «Siamo rimasti estremamente colpiti dalla premurosità e dalla cura con cui la fondazione e il management hanno scelto le opere e gestito il processo di selezione. Christie’s porta con sé decenni di esperienza nella gestione delle vendite museali, che fanno parte della pratica istituzionale nell’area culturale anglo-americana».
Di certo, è preoccupante che un museo svizzero, nato dalla donazione a un ente pubblico, non riesca a trovare i fondi per la sua sopravvivenza, a meno di non ricorrere alla vendita a privati delle sue opere. E il fatto che, qualora la vendita Fruits et pot de gingembre dovesse raggiungere la cifra di 44 milioni di dollari, le altre due opere verrebbero ritirate dall’asta, può lasciare solo l’amaro in bocca.
in passato sono stata contattata da una Fondazione con problemi finanziari simili, rifiutai di vendere i quadri, succerii
altre soluzioni, si salvarono tutti i quadri
serve una direzione manageriale più ETICA e preparata, dovrebbe essere DIFESA anche DALL?UNESCO un simile PATRIMONIO. in pericolo