Come stanno andando le riaperture? E l’affluenza dei visitatori? Come si stanno riorganizzando i musei? Come stanno reimpostando la programmazione?
Karole P.B. Vail, Direttrice della Peggy Guggenheim Collection di Venezia, ci racconta che cosa succede in uno dei musei più visitati della laguna e uno dei più rilevanti in Italia per l’arte europea e americana della prima metà del XX secolo.
Per tutto il mese di giugno Palazzo Venier dei Leoni, sede del museo, è aperto sabato e domenica dalle 10 alle 18, sul sito web trovate tutte le indicazioni per la visita.
Il 2 giugno la Collezione Peggy Guggenheim ha celebrato la riapertura con una giornata con ingresso gratuito su prenotazione che ha registrato il tutto esaurito in poche ore. Che atmosfera c’era tra i visitatori e il personale alla riapertura?
«È stata senz’altro una giornata memorabile. Dopo 13 lunghissime settimane di chiusura il museo è tornato ad accogliere i visitatori, ritornando a essere un luogo vivo, di incontro, dialogo e scambi che non fossero solo virtuali, come durante il lockdown, ma concreti e veri. Io e il mio staff abbiamo accolto personalmente le oltre 400 persone che nell’arco della giornata sono venute a trovarci a casa di Peggy Guggenheim. È infatti lo staff del museo che in questo periodo fa la guardiania nelle sale: questo è per il momento l’unico modo per rendere sostenibile l’apertura alleggerendo il budget dai costi della guardiania esterna, mancando in questo momento anche la presenza dei partecipanti al nostro programma di stage internazionale. Sono grata a loro e al pubblico per l’entusiasmo e l’affetto dimostrati nel voler tornare a vivere il rapporto diretto con l’arte e l’atmosfera unica che si respira a Palazzo Venier dei Leoni. È stata senz’altro una ventata di energia e ottimismo che ha rappresentato un ottimo punto di partenza per ricominciare insieme e che è continuato sui weekend successivi a pagamento, in cui abbiamo registrato una buona affluenza, seppur contingentata e ridotta nel rispetto alle nuove misure di sicurezza».
Come la Collezione Peggy sta affrontando le nuove misure di sicurezza e gli ingressi contingentati? Che cosa significa per un museo privato non aver avuto, durante il lockdown, gli introiti dei biglietti e poter ora ammettere un numero di visitatori molto inferiore rispetto al solito?
«Per noi, museo privato no profit, le perdite in questi 3 mesi di chiusura sono innegabili: i mancati ricavi da biglietteria, shop ed eventi speciali, sono molto pesanti e ammontano a circa 2 milioni di euro. Ovviamente abbiamo dovuto riaprire seguendo scrupolosamente le nuove norme comportamentali di sicurezza, con un accesso contingentato, il che significa poter accogliere mediamente 420 persone al giorno (dalle 10 alle 18) – 70 persone ogni 75 minuti circa – un terzo della media giornaliera annuale, che fino all’anno scorso era di circa 1.200 persone al giorno».
Come è cambiata la vostra programmazione e come cambierà nei prossimi mesi?
«Al momento abbiamo riaperto le sale di Palazzo che ospitano la collezione permanente. La mostra temporanea “Migrating Objects” non è aperta al pubblico, ma rimane comunque allestita in attesa di verificarne una possibile data di ripresa, mentre abbiamo dovuto annullare la mostra estiva dedicata all’artista brasiliana Lygia Clark, ora al Museo Guggenheim di Bilbao, ma confidiamo molto nella mostra autunnale dedicata ad Edmondo Bacci, a cura di Chiara Bertola, che aprirà il 17 ottobre. Un bello spaccato sulla vicenda artistica di uno dei massimi esponenti della pittura veneziana del dopoguerra».
Come sono cambiate le attività per il pubblico, da quelle per i members alla didattica, e il vostro noto programma di internship?
«Nei 3 mesi di chiusura del museo abbiamo puntato tutto sulle attività digital e social, portando avanti in questo modo la mission educativa della PGC, per noi fondamentale. Le attività per i soci, per le scuole, e per il pubblico generico, sono state “fatte vivere” sui nostri canali sociale, via e-mail, con e-news settimanali, e sul sito. Abbiamo lanciato il palinsesto “La Collezione Peggy Guggenheim a casa tua”: un calendario di appuntamenti 7 giorni su 7 attivo su Facebook, Instagram, Twitter e LinkedIn, abbiamo raccontato storie nuove e originali sul museo, da punti di vista insoliti e a volte divertenti, le mostre, la collezione, la vita di Peggy Guggenheim. La programmazione prevedeva e prevede tutt’ora contenuti che spaziano da brevi Art Talk, presentazioni virtuali dedicate ai capolavori della Collezione, a tutorial che portano i Kids Day nelle case, ogni domenica alle 15, stesso giorno e stessa ora in cui i workshop per bambini venivano normalmente svolti in museo, da podcast sulla vita di Peggy Guggenheim sull’account SoundCloud del museo, ad approfondimenti video sia sulla mostra “Migrating Objects” che sulla futura mostra dedicata a Edmondo Bacci, sostenuta da Lavazza. Per i soci del museo abbiamo invece creato un ciclo di lezioni di storia dell’arte online, “INCONTRI“, realizzato del mese di maggio su Zoom, tenuto da Alessandra Montalbetti, della Pinacoteca di Brera. Infine per le scuole sono stati prodotti 10 video dedicati ai percorsi multidisciplinari previsti nell’ambito del programma educativo del museo “A scuola di Guggenheim“, rivolto alle scuole di ogni ordine e grado».
Che impressione ha dell’attuale situazione di Venezia? Quali ripercussioni hanno la drastica riduzione dei turisti stranieri e la posticipazione di un anno della Biennale Arte?
«In realtà stiamo notando un graduale seppur lento ritorno anche del pubblico straniero in città. I numeri sono molto ridotti ovviamente e la ripresa dovrà tener conto di un turismo sostenibile e rispettoso della fragilità di Venezia. I tempi di recupero saranno di certo lunghi, anche rispetto al comportamento del virus, ragione per cui la cautela non è mai troppa. Probabilmente la decisione di posticipare la Biennale Arte nel 2022 avrà un peso sui tempi del ritorno di un determinato pubblico in città e sulla programmazione espositiva dei musei e delle istituzioni culturali. Noi abbiamo deciso di non cambiare il nostro programma espositivo, che al momento per il 2021 prevede una mostra, direi “sorprendente”, dedicata al surrealismo magico. L’organizzazione di una esposizione è complessa e lunga, soprattutto nell’ottenere i prestiti delle opere e ancor più se, come nel nostro caso, è coinvolta una seconda sede espositiva. Alla base della nostra decisione c’è anche la volontà, nel nostro piccolo, di anticipare il ritorno del pubblico delle grandi occasioni e per questo auspichiamo che altre istituzioni seguano il nostro esempio. L’unione fa la forza».
Quali ritiene siano le più urgenti necessità del sistema museale veneziano?
«Credo sia molto importante, ma di fatto l’ho sempre creduto, fare rete tra musei e collaborare in modo anche concreto. Credo che la proposta culturale di Venezia sia qualitativamente tra le più alte del nostro paese, aperta sia al moderno che al contemporaneo, con un occhio di riguardo anche ai giovani artisti emergenti. È raro trovare oggi, in Italia, una città che spazi dai tesori medioevali di Palazzo Cini, al Rinascimento delle Gallerie dell’Accademia o Palazzo Ducale, per arrivare al moderno della nostra Collezione ma anche di Ca’ Pesaro, e al contemporaneo della Fondazione Pinault e la Biennale, senza dimenticare i gioielli più antichi conservati alla Fondazione Ligabue. Mi viene in mente, ad esempio, il progetto Museum Mile a Dorsoduro, proposto qualche anno fa, che avvicinava effettivamente le realtà museali del sestiere di Dorsoduro, dalle Gallerie dell’Accademia, a Punta della Dogana, passando per Palazzo Cini e la Collezione Peggy Guggenheim, proponendo un viaggio attraverso otto secoli di storia dell’arte».
Può raccontarci una delle Sue speranze, anche utopiche, per la ripartenza della cultura?
«Innanzitutto mi auguro che tutti i musei, e i luoghi di cultura italiani riescano a riaprire, il prima possibile, perché tornino a essere luoghi di scambio e dialogo attivi. Inoltre credo fermamente che debbano essere spazi sempre più inclusivi. Il concetto di diversità è sempre più importante nella nostra quotidianità, così come lo è nel mondo dell’arte e della cultura. L’arte deve essere accessibile a tutti. Sempre. E poi naturalmente deve continuare ad avere il suo valore terapeutico ed educativo, che in questi tre mesi di lockdown è emerso, più forte cha mai».
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