Al Centre Pompidou di Parigi è ormai imminente l’avvio dei grandi lavori di restauro, che porteranno alla chiusura del museo d’arte contemporanea almeno fino al 2026 e che costeranno più di 260 milioni di euro: di questa somma, ben 50 milioni saranno donati dall’Arabia Saudita, come annunciato da Rachida Dati, ministra della cultura francese, e dal principe Bader bin Abdullah bin Farhan Al Saud. Questa donazione rappresenta il tassello più recente di una collaborazione culturale tra i due Paesi che negli ultimi anni si è rafforzata, unendo restauri, scambi museali e progetti archeologici.
Al di là del sostegno economico al Beaubourg, l’accordo include varie iniziative bilaterali, tra cui un nuovo museo della fotografia a Riad, realizzato con il contributo della prestigiosa Scuola nazionale di fotografia di Arles, e il restauro dei siti del patrimonio saudita in collaborazione con istituzioni francesi. Il progetto Vision 2030 del principe Mohammed bin Salman si articola così in una strategia che punta sull’arte e la cultura per trasformare l’immagine del regno e diversificare la sua economia.
Il rapporto tra Parigi e Riad si rafforzerà ulteriormente con la realizzazione di una sede satellite del Centre Pompidou nel deserto saudita. Annunciata nel maggio 2023, questa iniziativa vedrà la costruzione di un museo d’arte contemporanea ad AlUla, progettato dall’architetta parigina Lina Ghotmeh. Qui, tra paesaggi millenari e rovine di civiltà antiche – e dove già si svolge l’ambiziosa manifestazione biennale Desert X, nel 2024 giunta alla terza edizione -, il Centre Pompidou presenterà le opere delle sua collezione ed esporterà il suo know-how museale, diventando un punto di riferimento per i prossimi progetti artistici in tutta l’area.
Questa spinta verso l’apertura culturale si accompagna a una realtà ben più complessa. Il 2024 ha visto il tragico record di oltre 300 esecuzioni capitali in Arabia Saudita, un numero che testimonia un sistema in netto contrasto con l’immagine progressista promossa dagli eventi internazionali e dagli investimenti culturali. Inoltre, l’organizzazione Human Rights Watch ha denunciato in un report, pubblicato a novembre 2024, la commissione di gravi violazioni dei diritti umani da parte del PIF Public Investment Fund, il Fondo sovrano dell’Arabia Saudita, che vale quasi mille miliardi di dollari. Significativo è che, allo stesso tempo, il Regno si appresti ad accogliere i primi negozi Apple, in apertura entro il 2025 e il 2026, segnando un ulteriore passo verso una piena integrazione economica globale.
Questo dualismo si rivela emblematico di una strategia che alterna soft power, modernizzazione e controllo autoritario. Gli investimenti culturali sauditi, dal museo di AlUla agli accordi con il Centre Pompidou, mettono in evidenza queste contraddizioni. Mentre il museo parigino si prepara a risplendere di nuova luce e il deserto saudita si trasforma in una vetrina d’arte contemporanea, si accende il dibattito sul ruolo della cultura come strumento da disporre sullo scacchiere della geopolitica, oltre che sui legami tra musei e la “filantropia tossica”, come già successo per molte istituzioni museali occidentali, dal MoMA PS1 di New York al Victoria & Albert di Londra.
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