La programmazione estiva dell’Astrup Fearnley Museum con le sue due mostre, quella sulle nuove acquisizioni e la curatissima retrospettiva sui libri e la grafica di Anselm Kiefer, è un modo di riflettere direttamente sulla cultura della città. Mostre perfette anche per comprendere cosa sta succedendo sul lungomare di Oslo, che vedrà prestissimo l’arrivo di altre istituzioni culturali che hanno abbandonato le loro posizioni tradizionali: il nuovo Nasjonalmuseet e il futuro Munch Museum, ancora in costruzione, che saranno completati nel 2020.
Ecco perché la campionatura degli acquisti recenti nella sua relazione tra pubblico e privato posiziona le opere esposte in queste sale al centro di una discussione aperta. La scena artistica internazionale, si confronta con quella scandinava. È un progetto in progress di collezione che allude a conseguenze culturali più ampie. Avendo da poco festeggiato i suoi 25 anni, la raccolta invidiabile di Astrup Fearnley di opere degli anni ’90, ha un nucleo centrale di artisti blockbuster con lavori di grande qualità.
Nei suoi due edifici sono esposti Jeff Koons, Damien Hirst, Cindy Sherman con capolavori iconici e spendibili nel marketing museale contemporaneo. Il segreto nelle parole di Gunnar B. Kvaran, direttore del museo, è di essersi focalizzati su alcuni artisti, in un modo non superficiale.
Quella del magnate Hans Rasmus Astrup, non è una compilation di nomi ad effetto, ma una scelta più attenta ai fenomeni critici, di volta in volta emergenti nel panorama artistico contemporaneo. Dalla commodity art alle più recenti svolte sociali ed identitarie. Dall’estetica queer o al lavoro sul gender, con alcuni focus tematici straordinari.
Due splendide figure di Ermafrodito, quello di Frank Benson e di Hirst hanno in collezione un peso notevole. Così come il focus sulla pictures generation Americana dello scorso anno con Sherry Levine e Louis Lawler o Richard Prince, fu di per sé una piccola perla di tempestività, non solo nell’acquisto. Questo è per il museo solo il passato prossimo.
È interessante vedere come le nuove scelte sembrano riconfigurarlo ed integrarlo.
Un museo privato, che ha nella collezione anche capolavori di David Hockney, uno dei più cari artisti viventi, con il suo seminale, queer e rivoluzionario Cleaning Teeth, Early Evening (10pm) del 1962. Imperdibile. Lo sono anche le primissime dure e malinconiche immagini di Nan Goldin degli anni ‘80 che sembrano preludere al suo recente impegno nella de-Sacklerizzazione delle istituzioni artistiche contemporanee. Le linee guida seguono un eclettismo concettuale nella scelta di ogni nuova opera. È una specie di sogno curatoriale individuale. Questa è la raccolta che ha sicuramente ispirato, oltre ad includerli, molti artisti della scena contemporanea nordica come Ida Ekblad, Bjorne Melgaard o Matias Faldbakken. Se si esclude l’attenta campionatura di alcune star del contemporaneo estremo orientale, come Xu Zhen o il più visionario Korakrit Arunanondchai, le scelte recenti sembrano propendono su un’estetica che è al crocevia tra tecnologia digitale, serializzazione delle narrative individuali ed un ritorno ad una preziosità artigianale dell’assemblaggio nelle generazioni più giovani.
I lavori di Juliana Huxtable sono gli incantevoli residui di un’attività performative e gli splendidi assemblages di Helen Marten dimostrano dell’attenzione all’object trouvé e alla critica istituzionale. Il lavoro curatoriale amplifica lo sforzo di ricognizione di un collezionista in sintonia con un’equipe che riesce a coniugare cervello e sentimento. Uno splendido Ibrahim Mahama (Odo Nti, 2013-2018) dialoga con un lavoro di Marianne Heske, Eruption del 1993 in un accrochage perfetto.
Gli splendidi Glenn Ligon o la mappa U.S.A. di Nat Lowman raccontano al pubblico qual è l’America impegnata ed intellettuale che interessa al signor Astrup. Bellissimi i suoi Theaster Gates e Rashid Johnson.
L’interesse del mercato per l’arte afro-americana e diaspora ha una immaginifica traccia. Nessun sussulto del contemporaneo sembra mancare in questo luogo che pur essendo privato è percepito dalla scena estremamente sperimentale della città come un esempio fondante. Sicuramente ha contribuito alla formazione di un gusto per il contemporaneo, diffuso e di grande qualità. Anche nella bella mostra di Kiefer che è un enciclopedico compendio al suo amore per la letteratura ed i libri, sono racchiusi tesori di sperimentazione. Supportata da alcuni splendidi lavori dei suoi inizi, la raccolta di volumi monumentali, si legge in filigrana come una sibillina indicazione per la ricerca di oggi.
Un catalogo di Donald Judd –Donald Judd hides Brunhilde– del 1976 alterato con inserti di mitologia tedesca ne è il miglior esempio. Come il gatto del Cheshire di Alice nel Paese delle Meraviglie, il signor Astrup, e la sua “Private Passion” sembrano invitarci ad fantasmagorico high-tea . il pubblico percorre un territorio immaginario, sconosciuto. E mai sazio di novità.
Ivo Bonacorsi
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