Quello della restituzione di opere d’arte e reperti archeologici è ormai diventato un tema dominante nella museologia in tutto il mondo. E se il British Museum ancora fa – e continuerà a fare – resistenza per i Marmi del Partenone, da altre parti si fanno passi avanti. È il caso del Belgio, la cui storia coloniale è lunga, sanguinosa e ancora da elaborare (ne parla spesso e con toni veementi Jan Fabre, il campione nazionale dell’arte contemporanea). Il governo belga infatti ha in programma l’istituzione di una commissione di esperti che, in collaborazione con la controparte della Repubblica del Congo, determinerà il destino di migliaia di reperti acquisiti – o meglio requisiti – dal Belgio e provenienti dal territorio dell’ex colonia, specificamente nel periodo compreso tra il 1885 e il 1908 e dal 1908 al 1960.
La campagna di restituzione dovrebbe iniziare già nel 2022 ed è stata ratificata dal governo con una legislazione apposita, approvata proprio in queste ultime settimane. «Migliaia di oggetti sono stati acquistati in una situazione di evidente disparità di scambio oppure presi senza consenso in Congo durante il periodo coloniale», ha dichiarato Thomas Dermine, Segretario di Stato belga per la ripresa e gli investimenti strategici, responsabile delle politiche scientifiche e culturali. «Abbiamo tracciato una tabella di marcia all’interno del governo belga. L’importante è che i processi tra Congo e Belgio si incontrino. Dobbiamo costruire una base, avere un approccio condiviso», ha continuato Dermine, che ha spostato l’accento su una questione significativa. «Oggi dobbiamo parlare di ricostituzione piuttosto che di restituzione. La restituzione è molto centrata sull’Europa. È l’atto degli europei quello del restituire. L’importante è inquadrare il Congo in una prospettiva di costituzione di un patrimonio che non si doveva prendere», ha sottolineato Dermine, evidenziando uno spostamento non solo linguistico ma anche concettuale e di metodo. «Speriamo che il 2022 sia un momento decisivo». Félix Tshisekedi, il presidente della RDC, ha affermato in passato di volere che il rimpatrio proceda in «Modo organizzato», per garantire la conservazione degli oggetti.
Dermine ha spiegato che la nuova commissione classificherà i manufatti in tre categorie: quelli che sono stati inequivocabilmente saccheggiati e la cui proprietà dovrebbe essere immediatamente trasferita alla RDC; quelli che sono stati legittimamente acquisiti e possono rimanere di proprietà pubblica belga; quelli di provenienza incerta. Gli oggetti dell’ultima categoria rimarranno inizialmente in possesso del Belgio, ma il loro status giuridico verrà modificato in modo che non siano più “inalienabili”, il che significa che possono essere rimossi dalle collezioni federali. Insomma, tutti i manufatti entrati nelle collezioni pubbliche durante l’era coloniale sono passibili di restituzione, un riconoscimento importante dal punto di vista giuridico, che potrebbe aprire una nuova strada.
La colonizzazione del Congo avvenne durante il regno di Leopoldo II, nel 1885, anche se già dal 1877 lo Stato africano era sotto il controllo militare, politico ed economico del Belgio. La sua annessione avvenne nel 1908 e l’indipendenza fu dichiarata ufficialmente il 30 giugno 1960 ma il controllo del Belgio era stato così influente e pervasivo che anche negli anni successivi, nel linguaggio comune, si sarebbe continuato a riconoscere lo Stato come Congo Belga. Durante il periodo di dominio coloniale, centinaia di esploratori, missionari, soldati, rappresentanti di Leopoldo II e mercanti belgi portarono a casa oggetti che avevano rubato, comprato o acquisito in maniera poco equa.
In Belgio, il deposito più grande di oggetti provenienti dalle ex colonie è il RMCA – Royal Museum for Central Africa, a Tervuren, che fu voluto proprio da Leopoldo II, per mostrare la potenza delle sue imprese coloniali e che oggi può “vantare” una collezione di circa 120mila manufatti, oltre a migliaia di esemplari naturali e documenti. Circa l’85% della raccolta proviene dall’area che oggi corrisponde a quella della Repubblica del Congo ma tra i suoi possedimenti rientrano anche oggetti dell’odierno Burundi e del Ruanda. Lo stesso museo ha una policy molto chiara sulle restituzioni: «Nel dibattito in corso sulla restituzione del patrimonio culturale africano, l’RMCA assume una posizione aperta e costruttiva», si legge sul sito, riconoscendo che «Non è normale che una parte così ampia del patrimonio culturale africano si trovi in Occidente».
Finora, circa mille oggetti del RMCA sono stati identificati come saccheggiati. Tra gli oggetti di questo gruppo che potrebbero essere restituiti già nel 2022 ci sono la statua di Nkisi Nkondi, una figura fatta di legno e chiodi che fu saccheggiata nel 1878 da un commerciante belga in un attacco contro il capo Ne Kuko, e una maschera di legno Luba che fu saccheggiata nel 1896 dalle truppe belghe.
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