Il nuovo MACRO ripensato da Luca Lo Pinto non sarà un insieme di mostre, ma un unico progetto espositivo pensato come un magazine che evolverà in modo organico fino alla fine del 2022, termine del mandato triennale di Lo Pinto alla direzione del Museo d’Arte Contemporanea di Roma.
Il titolo del progetto Museo per l’Immaginazione Preventiva è anche un omaggio all’Ufficio per l’Immaginazione Preventiva istituito a Roma nel 1973 da Carlo Maurizio Benveduti, Tullio Catalano e Franco Falasca con l’obbiettivo di produrre un’arte capace di rivoluzionare la società.
Oggi, però, oltre alla società è necessario ripensare anche il “contenitore-museo”, specialmente di un museo come il MACRO che, come ben sappiamo, ha avuto nella sua storia vite alterne.
E così, il MACRO, sarà “un museo che si fa esso stesso mostra, intesa come forma e luogo di produzione costante, che riduce la distanza con i visitatori, aprendosi anche a mondi solitamente meno esplorati quali il design, l’editoria e la musica sperimentale”. Da qui l’idea di creare un magazine tridimensionale, in cui ogni spazio del museo sarà ripensato come una specifica rubrica, da esperire attraverso l’architettura fluida di Odile Decq.
Il “Museo per l’immaginazione preventiva” sarà un “centro culturale” diviso in una serie di aree: MONO, dedicato alle monografie interdisciplinari; MEDIUM, una serie di sezioni dedicate ad ambiti e processi non convenzionali ma oggi centrali nelle pratiche artistiche contemporanee; RETROFUTURO, uno speciale display che ripensa la collezione attuale; SOLO / MULTI, per le mostre monografiche, con l’eccezione di qualche collettiva, dedicate a figure “fuori formato”; AGORÀ, il motore discorsivo del museo e dei suoi incontri; EXTRA, “rubrica” per le attività di approfondimento e formazione, e spazio permanente dedicato all’attività didattica per i bambini.
L’intervista a Luca Lo Pinto
Dopo anni decisamente incerti dove, più per rassegnazione che convinzione, è anche passata l’idea che un museo di arte contemporanea potesse riscrivere la propria identità rifuggendo un demonizzato “sistema”, quale sarà il nuovo profilo del Museo d’Arte Contemporanea di Roma secondo i desiderata di Luca Lo Pinto?
«Stiamo vivendo un momento in cui l’idea stessa del museo è messa in crisi da un mondo e una società profondamente cambiata rispetto a venti o dieci anni fa, se ci riferiamo anche solo alla storia del MACRO. Il museo non è morto ma va ripensato, non a parole ma nei fatti. È una condizione dettata non dalle convinzioni dei singoli ma dallo spirito del tempo. È fisiologico. Come farlo è un’altra questione ed è la più interessante su cui riflettere. Il mio progetto vuole rispondere a tutto questo. Sono convinto sia importante cercare di prendere rischi intraprendendo una strada differente piuttosto che imitare i soliti modelli. Parlando nello specifico del MACRO, sono consapevole di avere poche risorse, un tempo limitato, un’architettura complessa e di operare in una città su cui pochi sembrano puntare. Tuttavia sono convinto che talvolta i limiti possono trasformarsi in una spinta, in un valore aggiunto poiché sei costretto a doverti muovere diversamente. La mia priorità è avere la libertà di portare avanti una visione che forse si scontra con quello che è il concetto di museo nell’immaginario comune, in particolare in Italia. Non voglio pormi in una posizione antitetica ma altra, provando ad alterare i paradigmi del museo e del linguaggio espositivo, mettendo al centro gli artisti e i loro immaginari con lo sforzo di far sì che questo luogo li esalti e non li limiti».
A proposito di sistema: c’è la volontà di ripristinare, nel prossimo futuro, il modello di partnership pubblico-privato (come avveniva con Enel, per esempio) per progetti speciali, commissioni, premi, supporto di residenze etc?
«Sicuramente c’è la volontà di ampliare le collaborazioni con il privato, sempre però dentro un’idea di libertà e di sperimentazione. Non penso a un fundraising fondato su uno scambio di visibilità, ma a modalità di collaborazione che nascono in relazione ai contenuti».
La tua nuova idea di MACRO appare come una presa di consapevolezza che questa istituzione non è un museo “normale”, ma proprio questa sua fragilità può permettere l’esperimento di una riscrittura del display espositivo. Ho apprezzato molto l’idea di un museo-magazine e la metafora di un compositstrutturato, in progress e seguendo le “battute” necessarie per esporre il tema. Ci racconti come è nata l’idea?
«L’idea è nata dalla constatazione di alcune condizioni, come l’opportunità di un museo gratuito, ma anche di alcuni limiti, come le questioni logistiche e fisiologiche legate all’architettura di uno spazio di 10.000 metri quadri e le risorse limitate. Da qui la necessità e la voglia di sperimentare la produzione di un dispositivo che pone sullo stesso piano pratiche e linguaggi eterogenei al fine di offrire al pubblico un’esperienza articolata, immersiva e complessa. Le rubriche di Museo per l’Immaginazione Preventiva sono pensate come strumenti per navigare concettualmente e fisicamente all’interno del museo. Ci aiutano a riflettere sul fatto che una collezione può essere trattata come un’immagine, che una mostra può cambiare nel tempo, che si può provare a esporre un’opera prima che sia finita, che si può esporre la musica con la stessa accortezza di un’oggetto d’arte, che si può dare risalto ad un’idea di graphic design ed editoria fuori formato».
Come pensi possa evolversi la “forma-museo” e le rispettive formule nei prossimi anni? Verso una struttura sempre meno omologata e sempre più definita in base alla propria identità?
«È una domanda che richiederebbe una risposta molto articolata. Credo che i grandi musei si stiano trasformando in una sorta di festival permanenti, dove le mostre e le collezioni sono diventate solo un piccolo tassello di un grande puzzle che mira a coinvolgere lo spettatore in una dimensione sempre più partecipativa».
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