Il valore e l’interesse dei dipinti di De Pisis, pervenuti all’Università di Firenze nel 1976, hanno indotto l’Ateneo a cercare per essi un adeguato spazio espositivo. Con un accordo stipulato nel 1979, l’Università ha concesso i 12 quadri in prestito al virtuale Museo d’Arte Contemporanea del Comune di Firenze, affinchè venissero esibiti con le altre raccolte di arte del Novecento; in cambio il Comune si è impegnato a mettere ogni anno a disposizione dell’Università l’importo di una delle borse di studio istituite dalla Facoltà di Lettere in nome di Aldo Palazzeschi.
De Pisis e Palazzeschi si erano conosciuti nel 1925 a Parigi, metropoli ricca di fermenti culturali e garante di quella libertà che molti artisti non trovavano nell’angusto clima culturale italiano. Il pittore era giunto a Parigi dopo aver trascorso gli anni della prima gioventù a Ferrara, partecipando accanto a De Chirico, Carrà e Morandi all’esperienza metafisica. Prima di approdare nella capitale francese, De Pisis aveva soggiornato alcuni anni a Roma, alla ricerca di orizzonti più ampi e stimolanti della provincia ferrarese. Lo spirito vivace, curioso e inquieto di De Pisis colpì Aldo Palazzeschi, che nel descrivere il maestro lo paragonò a una farfalla.
L’amicizia fra i due artisti, che si mantenne salda anche dopo il rientro di entrambi in Italia, è scandita dalle opere acquistate da Palazzeschi, la più antica delle quali, la Natura morta con vaso di fiori e libro, risale al 1930. Due dei dipinti, la Veduta di San Giorgio a Venezia e la Veduta del Ponte di Rialto, recano sul verso dediche di De Pisis a Palazzeschi, testimonianza della stima reciproca che legava i due amici. Del resto, il lirismo della pittura di De Pisis determinò una particolare ammirazione anche da parte di altri poeti e letterati contemporanei, accomunati da un’analoga sensibilità; molte opere del pittore ferrarese si trovavano infatti nelle raccolte di Eugenio Montale, Curzio Malaparte, Sebastiano Timpanaro, Roberto Longhi.
L’esperienza parigina permise a De Pisis di scoprire le infinite variazioni cromatiche e luminose della pittura francese dell’Ottocento, alla quale il pittore si accosta nella stesura rapida e movimentata del colore, utilizzando la preparazione bianca della tela per dare luminosità alle composizioni. Tuttavia i lidi sabbiosi del delta del Po e i paesaggi pianeggianti della terra natale rimangono gli scenari abituali sui quali il pittore apparecchia le sue nature morte, mischiando con coraggio e spregiudicatezza due diversi generi pittorici. Esempio supremo dell’arte di De Pisis è la Natura morta nel paesaggio di Pomposa, noto anche come la Regina, del 1931. Pesci e vegetali si stagliano sull’orizzonte lontano, in fondo al quale, minuscola, si innalza l’abbazia di Pomposa. Qui, come ad esempio nell’altra Natura morta con frutta e ananas, sempre del 1931, le regole sono sovvertite. Come in un sogno, le proporzioni sono alterate, con gli oggetti in primo piano che giganteggiano sul paesaggio e le architetture, mentre rimandano alle suggestioni della metafisica i bizzarri accostamenti fra pesci, frutta e spiaggia. Non hanno minore forza evocativa e incanto le nature more ambientate in studio (Natura morta con funghi, 1937; Natura morta con vaso di fiori e libro, 1930), dove gli oggetti si soprammettono a dipinti raffiguranti soggetti classici, come nudi accademici e temi religiosi.
Le suggestioni dalla pittura francese appaiono evidenti nella deliziosa veduta di un Giardino a Saint Cloud (1931), che ci offre uno scorcio nascosto e silenzioso del parco, dominato dalla natura rigogliosa e dalla muta presenza di una statua.
Gli anni trascorsi da De Pisis a Venezia, dove il pittore aveva acquistato una casa nel 1944, sono testimoniati dalle splendide vedute degli scorci più suggestivi della città (Veduta veneziana; Veduta del Ponte di Rialto a Venezia; Veduta di San Giorgio a Venezia). Le tre tele, tutte datate 1947, costituiscono il nucleo più tardo della collezione Palazzeschi; di lì a pochi anni De Pisis cominciò a manifestare problemi neurologici che lo portarono a rallentare e poi sospendere la propria attività, spegnendosi in clinica a Milano nel 1956.
Daniela Parenti
[exibart]
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