Uno spazio sovvertito è un luogo in cui il corpo abita secondo criteri altri, con un’attitudine più orientata al disequilibrio che alla staticità. La prossemica tradisce l’orgoglio della conquista, mentre i tanti volti noti del panorama culturale veneziano segnano l’appropriazione attraverso cocktails ingabbiati in bicchieri di plastica. Anni fa, durante un’intervista a Virgilio Sieni che aveva portato la danza nelle navate centrali dell’Arsenale durante la Biennale Architettura 2014, l’allora direttore artistico ci aveva parlato di “smarginamenti”, di quel tentativo di spostare l’attitudine del performer nel corpo dello spettatore, per restituirgli uno spazio architettonico implementato di una qualità fisica che in sé non gli appartiene, ma che il corpo che esce dallo schema del quotidiano può concedere, come fosse un portatore sano di nuove coordinate (qui l’intervista completa). Set Up, a Venezia, ci ha abituati a qualcosa di simile negli ultimi anni.
Chiudendo lo sguardo sui due giorni appena trascorsi, lo spazio che Tadao Ando ha disegnato in una Venezia non abituata alla vita notturna ha portato, intanto, a una dilatazione temporale, portando almeno a tre o quattro le ore di permanenza che Google, implacabile depositario delle memorie collettive, attesta intorno a una media di die. Poi ci sono loro, i musicisti/performer che incidono di vibrazioni attraverso casse che entrano in risonanza con le gabbie toraciche.
Wowawiwa, manipolatori di giochi e di parole – che avevamo sentito anche in questa intervista – riescono a incarnare il suono in un dialogo tra donna e macchina in cui il corpo di Alma Söderberg è incapace di resistere agli impulsi che genera e rimanda, ascolta, introduce nelle mani di Hendrik Willekens. Nora Chipaumire dalla navata centrale di Punta della Dogana alterna Punk, Pop e Rumba congolese in una performance live ispirata agli anni di formazione nello Zimbabwe e alla forza ribelle del punk e della News Wave. Ätna, di nuovo un duo, mette in dialogo l’intensa e profonda ricerca vocale di Inéz con la poco rassicurante risposta sonora di Demian, innestandosi in un piccolo ma coerente universo fatto di design, moda, stile.
Ancora, gli MK con Bermudas, lavoro di danza tout court sul moto perpetuo, in cui un gruppo di performer entra ed esce dallo spazio della scena in una staffetta potenzialmente infinita e tessuta intorno a movimenti rotatori, in un climax sottile e continuo. Di nuovo Africa con l’incisiva, selvaggiamente energetica presenza di Moor Mother, e ancora Greener Grass, Awesome Tapes from Africa, Kelly Lee Owens, Marco Scipione, Omar Souleyman e Sama’.
Un susseguirsi di ritmi, suoni, vibrazioni, che apre come ogni anno una breccia nella placida vita veneziana.
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