02 giugno 2020

Anime non del tutto perse #1: le sei corde di Rowland Howard

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La Fat Possum Records ha ristampato il primo album di Rowland S. Howard, il musicista che influenzò Nick Cave, Lydia Lunch e My Bloody Valentine

Con la ristampa di Teenage Snuff Film, la storica etichetta Fat Possum chiude la saga di ristampe dedicata a Rowland Howard, figura umbratile e fuggente che ha attraversato gli anni ’70 e ’80, ispirando diverse generazioni di musicisti per poi spegnersi nel 2008, in seguito a una lunga malattia. Chi era realmente?

A un primo sguardo, il suo destino non è molto diverso dai tanti maudit della musica che come Pigmalioni erranti hanno contribuito a scolpire nella pietra e modellare il suono dei grandi gruppi rock del XX secolo. Personalità non definibili o difficilmente catalogabili: basti pensare a ciò che è stato Brian Jones per i Rolling Stones, Syd Barrett per i Pink Floyd, o ancora Johnny Marr per The Smiths.

Così fu anche Rowland Howard, la cui precoce attitudine punk dai contorni dark hanno ispirato un giovanissimo Nick Cave, all’epoca in cui era solo un teenager.

All’origine fu il buio

Quando i The Bad Seeds non erano ancora germogliati, e nelle lyrics di Nick Cave non c’era ancora spazio per creature notturne e amori dal sapore romantico, a Melbourne esisteva un gruppo chiamato The Young Charlatans, in cui il chitarrista e paroliere vestiva di nero e camminava con un bastone da passeggio dall’età di 10 anni. Howard era una creatura a metà tra un elfo e uno scheletro: quando la sua mano non teneva una sigaretta era appoggiata sulla leva del tremolo di una Fender Jaguar che generava feedback metallici e primitivi: uno stile che era un misto di ruggine e velluto destinato a fare scuola per i musicisti delle future generazioni. Inutile dire che quando fu invitato per un posto da chitarrista nella band di Cave, tra i due nacque una certa simpatia – nera, ovviamente.

«Ho contemplato molto il suicidio/ma in realtà non si addice al mio stile» canta Howard in Shivers, una delle prime e più riuscite canzoni a entrare nel repertorio di The Birthday Party, la band nata da quell’incontro. Sono gli ultimi singulti degli anni ’70, impossibile quindi per chiunque sfuggire tanto alla carica rabbiosa del punk quanto ai sermoni psichedelici del krautrock, alle sperimentazioni dell’industrial, ai boa piumati del glam rock. I The Birthday Party si immergono tutto d’un fiato in questo eterogeneo flusso eclettico/elettrico nuotando tra stream of consciousness e ironia, rumore e melodia, canzone e performance d’arte. A Melbourne il loro nome iniziò a circolare nell’ambiente underground così spesso, che decisero fosse arrivato il momento di fare un salto di qualità: decisero quindi di comune accordo di trasferirsi in Europa. Dove? A Londra, naturalmente.

Le cose non furono tuttavia idilliache. La band, che stava iniziando a ottenere un discreto successo nel proprio paese d’origine, si trovò all’improvviso catapultata nell’ affollatissimo calderone di gruppi londinesi che cercavano di affermarsi a suon di performance ora scandalose, ora innovative. Basti pensare ai padri dell’industrial Throbbling Gristle, che nei loro concerti mischiavano arte visiva, noise e pornografia. Oltre a ciò, Cave rivendicava sempre più il suo ruolo di scrittore a discapito di Howard, la cui dipendenza dall’eroina non semplificava le cose (resterà una piaga costante), al pari della sua visione eclettica e anti-commerciale.

Dopo gli album Prayers on Fire (1981) e Junkyard (1982), i problemi raggiunsero il parossismo quando, da Berlino Ovest, arrivò Blixa Bargeld, invitato da Cave a registrare qualche chitarra nell’EP Mutiny del 1983. Sarà la scissione definitiva: Howard lasciò la band, che qualche tempo dopo si trasferì nella capitale tedesca, come aveva fatto anche David Bowie.

Da quel momento in poi, la vita di Howard è divisa tra tentativi di disintossicazione e registrazioni in studio: dopo aver fondato i These Immortal Souls, collaborò con decine di altre formazioni del circuito post-punk e no wave per le quali era diventato un vero e proprio mito decadente, grazie alla poetica dei suoi testi e al suo modo di suonare la chitarra elettrica, un timbro cupo e metallico che sarà il modello sia per il rock (My Bloody Valentine, Primal Scream) che per la no-wave (Lydia Lunch, con la quale inciderà poi l’album Shotgun Wedding). Sarebbe però sbagliato ridurre un artista del genere solo a questi due ambiti; tra i numerosi aneddoti a prova della sua vorace curiosità, c’è quello che vuole Howard chiedere ad Adrian Belew (all’epoca chitarrista di David Bowie) dopo un concerto dal vivo, quali effetti per chitarra avesse utilizzato.

Fu solo grazie al produttore Lindsey Gravina e al suo ex-collega nei The Birthday Party Mick Harvey, che Howard riuscì a pubblicare due dischi da solista: Teenage Snuff film e Pop Crime. Gli album sono la summa della sua poetica e un affresco della sua personalità: ruvida e diretta, debole e sognante. Come ebbe a dichiarare con una punta d’amarezza in un’intervista nel 2008: «Sono una persona totalmente dominata dalle proprie emozioni, non ho l’abilità di nascondere quello che provo».

Una personalità del genere non poteva sfuggitre alla Fat Possum Records, etichetta da sempre dedita a scovare dei diamanti nel pozzo senza fondo della memoria collettiva. Rowland S. Howard è un nome che forse a molti non dice ancora nulla, ma che il popolo musicale notturno e romantico non può, alla luce di questa ristampa, lasciarsi più sfuggire.

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