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Classiche Forme: gli ingredienti per un festival musicale nel Salento
Musica
di Luigi Abbate
Ingredienti-base per preparare un festival musicale: 1 quattrini; 2 contatti, nel senso di “quelli giusti”; 3 location, possibilmente un luogo d’arte speciale, meglio se all’aperto. Segue lunga lista di optional, tra cui la qualità degli esecutori. Invece, per farlo buono, il festival (e farlo lievitare come si deve), oltre alla qualità degli esecutori, stavolta importante, e ai citati tre ingredienti, servono sensibilità artistica, intelligenza, entusiasmo (possibilmente giovanile), stima e amicizia fra musicisti e non, e altro ancora. Per farlo poi pressoché unico, ci vuole…la famiglia del direttore artistico! Allora vien fuori un piatto veramente speciale. La metafora culinaria non è casuale. Sognando orecchiette con cime di rape baresi e pasticciotti leccesi, piatti e luoghi di provenienza rispettivamente di papà Vincenzo e mamma Maria Pina, scendo in Salento per conoscere le Classiche Forme che la figlia Beatrice Rana ha inventato quattro anni fa.
In realtà sia papà che mamma sono musicisti e non è dato sapere se la giovane Beatrice sia brava ai fornelli come lo è alla tastiera del pianoforte, ma è noto in tutto il mondo musicale che nella seconda attività eccelle, e dalle sue parti si sta dimostrando pure sapiente organizzatrice di concerti.
Come nasce Classiche Forme
Torniamo agli ingredienti. Anzitutto i quattrini. Nel 2016, a 23 anni e con la gerla già piena di premi internazionali, Beatrice Rana riceve una borsa di studio del Borletti Buitoni Trust, un fondo con sede a Londra concepito nel 2002 dai coniugi Ilaria Borletti e Franco Buitoni (scomparso nel 2016) per promuovere la carriera di giovani promesse dell’interpretazione, cantanti, solisti, ensemble.
Viene richiesta la ragione della destinazione della somma ricevuta. Beatrice sente un legame forte con la sua terra, forse anche un debito di riconoscenza che vuole saldare in un modo speciale e allora spiega di voler progettare con quelle sterline una rassegna che porti in Salento la grande musica da camera. Fra i mille concerti in giro per il mondo si mette d’impegno, chiama giovani colleghi italiani e stranieri, eccellenze che suonano con lei. Nasce così Classiche Forme.
Il gioiello dell’Abbazia di Santa Maria di Cerrate
Tutto è molto curato, persino nel logo, dove convivono quadrati sovrapposti e forme curvilinee a richiamare il riccio degli strumenti ad arco. La doppia colorazione della parola For-me lascia poi intuire il taglio personale del progetto voluto da Beatrice come direttrice artistica. La cosa funziona: pieno successo nelle prime tre edizioni. E siamo al 2020. Nel frattempo, la borsa dei dindi s’è alleggerita e, non bastasse, arriva quel che tutti sappiamo. Ma ecco l’asso che esce dalla manica: il Fai, istituzione della quale Ilaria Borletti è fra i dirigenti (era presente al concerto inaugurale), mette a disposizione un gioiello, l’Abbazia di Santa Maria di Cerrate, nei pressi di Lecce. E con essa lo spazio antistante, che nel rispetto delle norme anti-covid ha consentito di programmare tre concerti, il 24, 25 e 26 luglio.
Due dei tre son nel mio taccuino di viaggio. Il primo è preceduto da una visita dell’abbazia. Sommo esempio di romanico pugliese segnato da legami con antiche culture mediterranee, ospita affreschi di epoca bizantina, alcuni sorprendenti, come una prospettiva brunelleschiana di almeno duecento anni anteriore a Brunelleschi, o suggestive sfumature cromatiche. L’esterno da ammirare durante l’ascolto, con l’incantevole porticato a sinistra della facciata a far da sfondo al palco.
Si diceva del primo concerto, titolo “La Corona al RE”: calembour apotropaico per tener lontano il brutto pensiero del virus. Le tonalità di re maggiore (Quartetto per flauto violino viola e cello K 285 di Mozart e Sonata per flauto e pianoforte di Prokofiev) a esaltare la lucidissima intelligenza musicale della flautista Silvia Careddu. Lo strumento a fiato soffre lo spazio aperto ma i tre giovanissimi archi, Andrea Obiso, Giuseppe Russo Rossi e Ludovica Rana, sorella di Beatrice, non sovrastano. Lo stesso Mozart ci va leggero quando nel secondo movimento sottopone pizzicati discreti alla linea del flauto. In Prokofiev la pianista rivela tutte le sue qualità di camerista, nella sensibilità a controllo delle dinamiche. Un’intesa con Careddu da apprezzare di nuovo in sala da concerto. A chiudere il re minore del Trio di Mendelssohn op. 49. Il violino di Obiso si unisce alle due sorelle Rana. Il tempo per provare in queste occasioni è limitato, perciò impressionano ancor più chiarezza e maturità nell’interpretazione di questo capolavoro cameristico d’Ottocento.
Mattatrice del pianoforte Beatrice Rana, mattatore del violoncello Giovanni Sollima, protagonista del secondo concerto di Classiche Forme. La dimensione del virtuoso si misura non solo nella bravura esecutiva ma anche nell’originalità e nella forza delle idee. Come per esempio quella di Rana, lo scorso anno, nel suonare un pianoforte rivestito in legno d’ulivo in mezzo agli ulivi massacrati dalla xylella, quasi a voler celebrare un rito propiziatorio in musica. O quella di Sollima, che si porta il violoncello nel deserto, oppure ne suona uno di ghiaccio, o riunisce una marea di colleghi di varie età nei “Centocelli”.
Qui i celli non erano cento ma dieci, di cui sette vincitori del Bando Per Chi Crea, residenza SIAE coordinata da Andrea Cavuoto, cui si sono aggiunti Ludovica Rana e lo stesso Sollima, che ha confezionato come al solito un programma piacevolmente ellittico, che spaziava nella geografia e storia degli stili musicali, incluso naturalmente il contributo dello stesso Sollima, “compositore in residenza” del festival.
Si andava da una versione ad hoc del secondo movimento della Settima Sinfonia di Beethoven, forse una profanazione per qualcuno, in realtà idea coerente con il ritmo dattilico esposto proprio dai bassi all’inizio dell’originale. Come pure due movimenti dal bachiano Concerto Brandeburghese n. 2; da qui deviando sul tipico segno inventivo, brillante e tellurico, della novità di Sollima in prima esecuzione, spirito siculo da cui parte anche un brano di Wagner (Tempo di Porazzi), testimonianza di una presenza palermitana dell’autore del Parsifal; per chiudere con il Preludio della Goccia d’acqua di Chopin in una storica versione di Franchomme.
La pianista padrona di casa, presente nella novità di Sollima, introduceva i concerti invitando il pubblico a una conversazione conclusiva. Ed eccoci allora all’ultimo ingrediente della pietanza-buon festival: il conservante naturale. Come tutte le cucine regionali anche quella pugliese è povera, e come tutte le cucine povere si preoccupa di conservare quel che avanza. Classiche forme ha gli ingredienti migliori ma per rispondere alle incognite di un futuro incerto per tutti dovrà usare il conservante giusto. Siamo sicuri che lo troverà.