Il 7 dicembre, “inaugurazione della Scala” (con crasi tipicamente meneghina), sancisce la messa a regime del motore produttivo della musica a Milano. Dopo il buio dello scorso anno, nei giorni scorsi il rito si è rinnovato, anche se in realtà prima della “prima” scaligera – quest’anno con il Macbeth verdiano – si son potuti svolgere due festival che, da tempo, riempiono di musica la vita del capoluogo lombardo, fra fine estate e primo autunno. Facciamo un piccolo recupero di notizie e pensieri.
MiTo, lo dice il nome, dal 2007 vive sul tandem Milano/Torino. Quest’anno coniugava novità e repertorio fra l’altro rianimando la celebrazione beethoveniana (nascita 1770) ibernatasi lo scorso anno.
Subito con forza della coreana Unsuk Chin ha regalato un’apertura che migliore non avrebbe potuto essere: cinque minuti di musica parafrastica sul genio di Bonn, un concentrato di raffinata scrittura compositiva che concilia asperità del moderno e condizione del compositore d’oggi, specie d’Atlante che si porta sulle spalle il peso micidiale di una storia della musica fatta non solo di capolavori ma anche di consuetudini, stili, generi e ricezioni, il solo pensiero delle quali rischia di farti precipitare nell’afonia. Condizione da cui Chin, classe 1961, si libera con autorevolezza e squisito senso dell’ironia, di certo aiutata da una direzione cristallina di Fabio Luisi a capo dell’OSN Rai. Lo fa anche il finlandese Magnus Lindberg, a fine festival, con Absence, puntando l’attenzione su una precisa pagina beethoveniana, la Seconda Sinfonia, ma non allo stesso, limpido, ispirato livello di Chin.
Sempre in tema di riscritture, anche se del tutto rispettose dell’originale, si collocava la sapida versione di J. G. Rheinberger delle bachiane Variazioni Goldberg, eseguite come si deve dal duo pianistico Tal & Groethuisen.
Dall’antico riletto o contraddetto nell’oggi, all’oggi tout court del Festival Milano Musica, che, giunto alla trentesima edizione, completava il programma interrotto lo scorso anno nell’omaggio al greco-francese George Aperghis, già Leone d’Oro della Biennale di Venezia. Tra i recuperi, ben due lavori in prima assoluta di un altro Leone d’Oro, Giacomo Manzoni: pagine segnate dalla proverbiale lucidità intellettuale del maestro milanese nella scrittura strumentale e vocale, quest’ultima cesellata su testi estremi, tesissimi, di Albrecht Haushofer in Schuld, alla Scala con l’Orchestra Rai e l’eccellente tenore Leonardo Cortellazzi, e di Rilke e Seneca in Il mare azzurro…ritraendosi, dove insieme all’Mdi ensemble s’è apprezzata la duttile voce del mezzosoprano Joo Cho.
Sempre per Milano Musica, seguiti con piacere e interesse anche gli straordinari otto contrabbassi di Ludus Gravis, che han proposto, pure in prima, un lavoro di Daniele Roccato, virtuoso e fondatore dell’ensemble, che traduce con maestria nella drammatica espressività dell’oggi la polifonia sensuale di Gesualdo da Venosa. Il programma si chiudeva con la durezza di Dies Irae della russo-sovietica Galina Ustvol’skaja, qui con l’apporto del pianista Fabrizio Ottaviucci.
Spettacolo ospite nel programma di Milano Musica, e pur esso recupero della stagione 20/21 della Scala, Madina di Fabio Vacchi. Definito “Teatro Danza in tre quadri”, libretto di Emmanuelle de Villepin, è lavoro complesso e rischioso, per il racchiudere in sé canto, recitazione e, appunto, danza. L’ottimo risultato premia l’esperienza dell’autore, 72 anni, fra i più rappresentati.
La drammatica attualità del soggetto, imperniato sulla tragica vicenda della giovane Madina che, vittima di violenza da parte di soldati dell’esercito oppressore, viene dallo zio indottrinata alla causa, alla fine tuttavia rifiutando d’immolarsi, avrebbe potuto rendere ancor più ardua l’impresa, ma Vacchi governa con indubbia capacità le tre differenti espressioni del porgere sulla scena e, come richiede il suo mestiere, a sua volta scioglie le aporie drammaturgiche in una partitura ricchissima ma efficace, magnificamente diretta dal giovane e già affermato Michele Gamba.
Produzione “difficile”, specie in epoca Covid, per la gestione di coro e gesti in scena, coreografia di Mauro Bigonzetti, ruolo danzante del titolo un’eccellente, intensissima Antonella Albano, che trova un’ottima chimica con l’étoile Roberto Bolle, gli interventi vocali di Anna-Doris Capitelli e Wuang Chang, quello attoriale di Fabrizio Falco.
Madina era una commissione del Teatro alla Scala unitamente alla Società Italiana Autori ed Editori. Cosa buona e giusta che la Siae abbia fatto la sua parte nell’appoggiare fattivamente una musica forse meno attrattiva sul fronte commerciale, ma importante per la crescita della creatività e della ricerca musicale più consapevole. Dovrebbe farlo spesso. Qualche iniziativa, seppur improvvisata e non ben dosata, con la precedente presidenza era stata presa in tal senso. Pare invece che ultimamente qualcuno in alto si sia dimenticato di dar continuità, facendo, per così dire, orecchio da mercante.
La Siae non è un ente di beneficenza, lo sappiamo, ma venire incontro ai molti autori contrattualmente più fragili, per esempio sospendendo in questo ultimo, terribile periodo di chiusure il pagamento delle quote associative sarebbe stato almeno un segno di vicinanza all’impegno e al lavoro di un comporre musica oggi che sta soffrendo, e a lungo continuerà a soffrire una crisi vissuta nel silenzio e nell’indifferenza, non sbattuta in piazza con atti d’insofferenza, se non di violenza, molto più mediaticamente efficaci.
Ne prendiamo atto, e così sia.
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