Se il tema del legame tra arte e scienza non è ugualmente rilevante per tutte le forme di espressione estetica, riferito al suono esso definisce un vasto contenitore di stili, tecniche e idee, teorizzate circa quarant’anni fa da
Raymond Murray Shafer e oggi al centro di sperimentazioni sul filo conduttore della musica concreta e del paesaggio sonoro. Il
field recording o
phonography, infatti, è caratterizzato da un approccio al suono di tipo concreto, cioè tale da posare l’accento sull’esperienza dell’ascolto anziché sul tradizionale sistema astratto di notazione grafica, e al contempo concepisce il suono come il risultato di un rapporto con l’ambiente. Tra le varietà di queste pratiche, perlopiù orientate all’esplorazione della natura e dell’ambiente urbano, la registrazione di eventi elettromagnetici occupa un posto a parte, oltre che per l’insolita miscela con cui gli elementi naturali si confondono con quelli culturali (ad esempio il suono prodotto da un generatore elettrico o da un cavo dell’alta tensione), anche per il valore estetico dei risultati prodotti, che va ben oltre la sterile constatazione dell’esistenza di un rapporto tra suono e materia. Attraverso l’amplificazione di fenomeni elettromagnetici, infatti, questo legame del tutto ovvio si esprime in modo così diretto da vanificare la distinzione tra acustico e sintetico, e spaziare con disinvoltura dall’ambito dell’ecologia acustica a quello dell’acusmatica.
A dimostrarlo ci hanno pensato alcuni sound artisti contemporanei, con opere in cui il rapporto tra la generazione naturale del suono, i sistemi di amplificazione e la dimensione soggettiva dell’ascolto si fa sempre più stretto. È il caso ad esempio di
Jacob Kierkegaard, che nell’installazione
Broadway, concepita per la galleria dello Swiss Institute di New York, utilizza degli accelerometri (dispositivi utilizzati nei laboratori di fisica per rilevare l’inerzia di una massa sottoposta ad accelerazione) per captare attraverso l’oscillazione di cinque colonne metalliche le vibrazioni provenienti dalla struttura dell’intera galleria, dalla strada di fronte e dalla metropolitana sottostante, creando un loop sensibile e complesso. L’artista e sound recordist francese
Yannick Dauby invece ospita sul suo sito alcuni sample realizzati con piccoli solenoidi (cilindri formati da una serie di spire circolari realizzate con del materiale conduttore) per captare le interferenze elettromagnetiche prodotte dalle linee dell’alta tensione e da apparecchi telefonici.
Niente di nuovo. E per fortuna! Dal momento che la voglia di nuovo è vecchia almeno quanto le avanguardie storiche. Anzi, è qualcosa di talmente ancestrale da farci dimenticare che il suono non è che un fenomeno fisico determinato dall’oscillazione nello spazio di particelle in un mezzo, solitamente l’aria, l’acqua e la terra. E l’idea che esistano suoni preferibili in termini “musicali” è solo un prodotto culturale, relativo alla soggettività dell’individuo, determinato di volta in volta dal contesto storico, dalla diversità degli scopi e così via. Fu proprio lo studio del suono come fenomeno elettromagnetico a suggerire ai governi di mezzo mondo l’idea di utilizzare le onde corte per comunicare a distanza con le agenzie di spionaggio per l’estero, anticipando (e sperimentando) la telefonia mobile e Internet. Quelle registrazioni radio, raccolte e pubblicate nel 1997 dall’etichetta inglese Iridial-Discs nei famosi quattro cd
The Conet Project, hanno ispirato negli ultimi anni registi e musicisti di tutto il mondo come i
Boards of Canada o
, che le utilizzò per
Vanilla Sky, e la band chicagoana
Wilco nell’album
Yankee Hotel Foxtrot. Ancora oggi i suoni delle
Numbers Stations sono stati utilizzati come colonna sonora per un desktop documentary,
Flat Earth, realizzato da
Thomson & Craighead su commissione della rete televisiva britannica Channel 4, e posti al centro di
Disturbance, una serie di interessanti internet radio broadcast e curati da
Niels Van Tomme per radio@art.
Dunque, molti sembrano essere gli impieghi del suono tra cielo e terra, arte e scienza. Le magnifiche aurore boreali, ad esempio, sono il prodotto visibile (ma anche udibile?) dell’interazione di onde elettromagnetiche con gli strati di gas ionizzato presenti nelle zone più alte dell’atmosfera, combinate con l’effetto del vento solare. Al contrario, alcuni fulmini che durante i temporali non si dirigono verso la superficie terrestre ma sfuggono in direzione dello spazio ad altissima quota, se interagiscono con i gas atmosferici producono particolari fischi discendenti chiamati
whistler, facilmente captabili con idonei ricevitori.
Per chi fosse interessato, i suoni del pianeta possono essere ascoltati direttamente via Internet sulle pagine del sito di Inspire, il progetto creato dalla Nasa per studiare la propagazione delle onde VLF (Very Low Frequencies) nella ionosfera. Dall’Italia, il periodo migliore per ascoltare i segnali VLF -chiamati variamente
tweek,
whistler,
sferic– è dalle 23 alle 13, corrispondente al periodo che va, in Alabama dove è posizionato il ricevitore, dal tramonto all’alba successiva.