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26
maggio 2009
decibel_contemporanea Giovani russi, vecchi americani
Musica
I protagonisti più significativi dell’avanguardia americana incontrano giovani musicisti provenienti da Russia, Armenia e Asia centrale. Gli assi polari, secondo il direttore artistico Matthias Osterwold, dell’ottava edizione del festival di musica contemporanea MaerzMusik...
Il focus sugli anni ’70 del Novecento come transizione dall’avanguardia modernista al disorientamento del postmodernismo è il nucleo dal quale deflagrano le performance di MaerzMusik 2009, tra schegge di Minimalismo, bagliori di musiche nuove del XXI secolo, Riduzionismo e Decostruzionismo. Ovvero, una lettura della musica attuale alla luce del moderno, con retrospettive, progetti inediti e premiere di grande effetto.
Tra questi, una freschissima interpretazione di Steve Reich con la performance dell’Ictus Ensemble, che esegue Drumming in una rara versione integrale difficilmente udibile dal vivo e riesce a trasportare l’audience verso visioni acustiche primordiali, lungo un crescendo di sessanta minuti e in perfetta unione alchemica di azione, pulsazioni e matematica.
…auf…, la grande trilogia di Mark Andre in prima mondiale alla Philarmonie, è un magnifico lavoro di circa cinquanta minuti, in cui vengono esplorate con immaginazione e rigore stilistico le più estreme potenzialità tecniche, timbriche e dinamiche della Grande Orchestra – qui l’SWR Baden-Baden diretta da Sylvain Cambreling – con effetti di impressionismo sonoro strabilianti, lunghi passaggi sulla soglia dell’udibile, strutture elettroniche, le percussioni spazializzate ai quattro angoli della hall e l’impatto indecidibile dei suoni prodotti all’Experimentalstudio des SWR. Eppure, tranne questa e qualche altra eccezione, gli strumenti elettroacustici o elettronici e le nuove tecnologie musicali e informatiche rimangono i grandi esclusi dal simposio.
La maggior parte dei lavori in programma sono caratterizzati da una struttura limpida e chiara, espressa perlopiù attraverso la rivisitazione di canoni sperimentali o sistemi di decomposizione e smantellamento dei linguaggi del passato. La retrospettiva all’Arsenal mostra una serie di interessanti film musicali e rari documenti audiovisivi sulla prima tape music in Usa, le avanguardie di musica elettronica e gli albori della sperimentazione audiovisuale e multicanale, mentre i portrait dedicati a Robert Ashley e Alvin Lucier accostano lavori elettronici del passato a opere più recenti dei due compositori.
Un duplice portrait è dedicato al network di giovani compositori russi Structural Resistance, nel cortile del Judische Museum e nella Kammermusiksaal della Philarmonie, con i concerti del Moscow Contemporary Music Ensemble e dell’Ensemble Contrechamp. Le opere pongono al centro il legame tra la gestualità e il suono nell’atto performativo, con strutture generalmente statiche, accenni di serialismo, rivisitazioni stravolte di riferimenti storici e un originale gusto per il grottesco e la provocazione.
Il giovane Dmitri Kourliandski mostra una marcia in più con insiemi strumentali interessanti e una scrittura dotata di una stridente carica ironica ed emotiva. Nel nuovo pezzo Engramma, per voce e dieci strumenti, minuscoli vagiti vocali si alternano con vibrazioni prodotte da un membranofono artigianale, sul pedale monotono dell’unico contrabasso e improvvisi passaggi aerei sui fiati. Boris Filanovski si esibisce invece come performer nella sua composizione MH – hmlss – bdchl, producendo vocalizzi schizofrenici ed ecolalici che ricordano un po’ certe poesie di Artaud, ma che sortiscono un effetto (dediderato?) di trattenuta ilarità in sala, al di sotto degli interventi fugaci e complessi dell’ensemble.
Un diverso tipo di attenzione per la voce è al centro di What is the Word, per pianoforte e voce femminile, basato sull’ultimo testo scritto da Samuel Beckett prima della morte e occasione di gioco per György Kurtag, il quale scrive note di grande intensità sul baratro aperto tra il vuoto fonetico e la produzione di senso. Sempre di Kurtag, i quaranta pezzi raccolti nei Kafka Fragmente sono piacevolmente sparsi per il festival e si ricompongono in tempi e spazi diversi nel corso della programmazione.
Bello purtroppo solo su carta il lavoro di Carsten Nicolai e Michael Nymann, presentato nel contesto della rassegna Sonic Art Lounge. Pretty talk for george brecht – sparkie the opera (1978 revisited), dedicato all’artista scomparso lo scorso anno, riprende la delicata storia del pappagallo parlante Sparkie attraverso vecchi nastri, letture, suoni elettronici e pianoforte, mescolati però dal vivo senza convinzione. La forza lirica del progetto mantiene alta l’attenzione, ma qualche cosa va storto e l’impressione è di imbarazzo generale.
Peccato non riuscire a seguire anche i concerti del Nieuw Ensemble a Radialsystem V, con le opere di Petros Ovsepyan, Jamila Jazylbekova e gli altri ospiti di origine euroasiatica. Il programma comunque è completo, e possiamo congedarci senza troppa paura, almeno in musica, dal XX secolo.
Tra questi, una freschissima interpretazione di Steve Reich con la performance dell’Ictus Ensemble, che esegue Drumming in una rara versione integrale difficilmente udibile dal vivo e riesce a trasportare l’audience verso visioni acustiche primordiali, lungo un crescendo di sessanta minuti e in perfetta unione alchemica di azione, pulsazioni e matematica.
…auf…, la grande trilogia di Mark Andre in prima mondiale alla Philarmonie, è un magnifico lavoro di circa cinquanta minuti, in cui vengono esplorate con immaginazione e rigore stilistico le più estreme potenzialità tecniche, timbriche e dinamiche della Grande Orchestra – qui l’SWR Baden-Baden diretta da Sylvain Cambreling – con effetti di impressionismo sonoro strabilianti, lunghi passaggi sulla soglia dell’udibile, strutture elettroniche, le percussioni spazializzate ai quattro angoli della hall e l’impatto indecidibile dei suoni prodotti all’Experimentalstudio des SWR. Eppure, tranne questa e qualche altra eccezione, gli strumenti elettroacustici o elettronici e le nuove tecnologie musicali e informatiche rimangono i grandi esclusi dal simposio.
La maggior parte dei lavori in programma sono caratterizzati da una struttura limpida e chiara, espressa perlopiù attraverso la rivisitazione di canoni sperimentali o sistemi di decomposizione e smantellamento dei linguaggi del passato. La retrospettiva all’Arsenal mostra una serie di interessanti film musicali e rari documenti audiovisivi sulla prima tape music in Usa, le avanguardie di musica elettronica e gli albori della sperimentazione audiovisuale e multicanale, mentre i portrait dedicati a Robert Ashley e Alvin Lucier accostano lavori elettronici del passato a opere più recenti dei due compositori.
Un duplice portrait è dedicato al network di giovani compositori russi Structural Resistance, nel cortile del Judische Museum e nella Kammermusiksaal della Philarmonie, con i concerti del Moscow Contemporary Music Ensemble e dell’Ensemble Contrechamp. Le opere pongono al centro il legame tra la gestualità e il suono nell’atto performativo, con strutture generalmente statiche, accenni di serialismo, rivisitazioni stravolte di riferimenti storici e un originale gusto per il grottesco e la provocazione.
Il giovane Dmitri Kourliandski mostra una marcia in più con insiemi strumentali interessanti e una scrittura dotata di una stridente carica ironica ed emotiva. Nel nuovo pezzo Engramma, per voce e dieci strumenti, minuscoli vagiti vocali si alternano con vibrazioni prodotte da un membranofono artigianale, sul pedale monotono dell’unico contrabasso e improvvisi passaggi aerei sui fiati. Boris Filanovski si esibisce invece come performer nella sua composizione MH – hmlss – bdchl, producendo vocalizzi schizofrenici ed ecolalici che ricordano un po’ certe poesie di Artaud, ma che sortiscono un effetto (dediderato?) di trattenuta ilarità in sala, al di sotto degli interventi fugaci e complessi dell’ensemble.
Un diverso tipo di attenzione per la voce è al centro di What is the Word, per pianoforte e voce femminile, basato sull’ultimo testo scritto da Samuel Beckett prima della morte e occasione di gioco per György Kurtag, il quale scrive note di grande intensità sul baratro aperto tra il vuoto fonetico e la produzione di senso. Sempre di Kurtag, i quaranta pezzi raccolti nei Kafka Fragmente sono piacevolmente sparsi per il festival e si ricompongono in tempi e spazi diversi nel corso della programmazione.
Bello purtroppo solo su carta il lavoro di Carsten Nicolai e Michael Nymann, presentato nel contesto della rassegna Sonic Art Lounge. Pretty talk for george brecht – sparkie the opera (1978 revisited), dedicato all’artista scomparso lo scorso anno, riprende la delicata storia del pappagallo parlante Sparkie attraverso vecchi nastri, letture, suoni elettronici e pianoforte, mescolati però dal vivo senza convinzione. La forza lirica del progetto mantiene alta l’attenzione, ma qualche cosa va storto e l’impressione è di imbarazzo generale.
Peccato non riuscire a seguire anche i concerti del Nieuw Ensemble a Radialsystem V, con le opere di Petros Ovsepyan, Jamila Jazylbekova e gli altri ospiti di origine euroasiatica. Il programma comunque è completo, e possiamo congedarci senza troppa paura, almeno in musica, dal XX secolo.
dal 20 al 29 marzo 2009
MaerzMusik 2009 – Festival of Contemporary Music
Sedi varie – Berlino
Info: www.berlinerfestspiele.de
[exibart]