Il focus sugli anni ’70 del Novecento come transizione dall’avanguardia modernista al disorientamento del postmodernismo è il nucleo dal quale deflagrano le performance di
MaerzMusik 2009, tra schegge di Minimalismo, bagliori di musiche nuove del XXI secolo, Riduzionismo e Decostruzionismo. Ovvero, una lettura della musica attuale alla luce del moderno, con retrospettive, progetti inediti e premiere di grande effetto.
Tra questi, una freschissima interpretazione di
Steve Reich con la performance dell’
Ictus Ensemble, che esegue
Drumming in una rara versione integrale difficilmente udibile dal vivo e riesce a trasportare l’audience verso visioni acustiche primordiali, lungo un crescendo di sessanta minuti e in perfetta unione alchemica di azione, pulsazioni e matematica.
…auf…, la grande trilogia di
Mark Andre in prima mondiale alla Philarmonie, è un magnifico lavoro di circa cinquanta minuti, in cui vengono esplorate con immaginazione e rigore stilistico le più estreme potenzialità tecniche, timbriche e dinamiche della Grande Orchestra – qui l’
SWR Baden-Baden diretta da
Sylvain Cambreling – con effetti di impressionismo sonoro strabilianti, lunghi passaggi sulla soglia dell’udibile, strutture elettroniche, le percussioni spazializzate ai quattro angoli della hall e l’impatto indecidibile dei suoni prodotti all’
Experimentalstudio des SWR. Eppure, tranne questa e qualche altra eccezione, gli strumenti elettroacustici o elettronici e le nuove tecnologie musicali e informatiche rimangono i grandi esclusi dal simposio.
La maggior parte dei lavori in programma sono caratterizzati da una struttura limpida e chiara, espressa perlopiù attraverso la rivisitazione di canoni sperimentali o sistemi di decomposizione e smantellamento dei linguaggi del passato. La retrospettiva all’Arsenal mostra una serie di interessanti film musicali e rari documenti audiovisivi sulla prima tape music in Usa, le avanguardie di musica elettronica e gli albori della sperimentazione audiovisuale e multicanale, mentre i portrait dedicati a
Robert Ashley e
Alvin Lucier accostano lavori elettronici del passato a opere più recenti dei due compositori.
Un duplice portrait è dedicato al network di giovani compositori russi
Structural Resistance, nel cortile del Judische Museum e nella Kammermusiksaal della Philarmonie, con i concerti del
Moscow Contemporary Music Ensemble e dell’
Ensemble Contrechamp. Le opere pongono al centro il legame tra la gestualità e il suono nell’atto performativo, con strutture generalmente statiche, accenni di serialismo, rivisitazioni stravolte di riferimenti storici e un originale gusto per il grottesco e la provocazione.
Il giovane
Dmitri Kourliandski mostra una marcia in più con insiemi strumentali interessanti e una scrittura dotata di una stridente carica ironica ed emotiva. Nel nuovo pezzo
Engramma, per voce e dieci strumenti, minuscoli vagiti vocali si alternano con vibrazioni prodotte da un membranofono artigianale, sul pedale monotono dell’unico contrabasso e improvvisi passaggi aerei sui fiati.
Boris Filanovski si esibisce invece come performer nella sua composizione
MH – hmlss – bdchl, producendo vocalizzi schizofrenici ed ecolalici che ricordano un po’ certe poesie di Artaud, ma che sortiscono un effetto (dediderato?) di trattenuta ilarità in sala, al di sotto degli interventi fugaci e complessi dell’ensemble.
Un diverso tipo di attenzione per la voce è al centro di
What is the Word, per pianoforte e voce femminile, basato sull’ultimo testo scritto da Samuel Beckett prima della morte e occasione di gioco per
György Kurtag, il quale scrive note di grande intensità sul baratro aperto tra il vuoto fonetico e la produzione di senso. Sempre di Kurtag, i quaranta pezzi raccolti nei
Kafka Fragmente sono piacevolmente sparsi per il festival e si ricompongono in tempi e spazi diversi nel corso della programmazione.
Bello purtroppo solo su carta il lavoro di
Carsten Nicolai e
Michael Nymann, presentato nel contesto della rassegna
Sonic Art Lounge.
Pretty talk for george brecht – sparkie the opera (1978 revisited), dedicato all’artista scomparso lo scorso anno, riprende la delicata storia del pappagallo parlante Sparkie attraverso vecchi nastri, letture, suoni elettronici e pianoforte, mescolati però dal vivo senza convinzione. La forza lirica del progetto mantiene alta l’attenzione, ma qualche cosa va storto e l’impressione è di imbarazzo generale.
Peccato non riuscire a seguire anche i concerti del
Nieuw Ensemble a Radialsystem V, con le opere di
Petros Ovsepyan,
Jamila Jazylbekova e gli altri ospiti di origine euroasiatica. Il programma comunque è completo, e possiamo congedarci senza troppa paura, almeno in musica, dal XX secolo.