Negli ultimi vent’anni, la costante ricerca di nuovi territori da esplorare ha condotto la sperimentazione musicale a operare in modo sempre più specialistico sul materiale sonoro prodotto dall’ambiente. Da un breve sguardo ai programmi delle gallerie d’arte nordeuropee e statunitensi fino al moltiplicarsi in Rete delle discussioni sul tema, sembra che l’ultima tendenza in fatto di arte sonora sia l’acustica subacquea. Ma non solo. Più in generale, il riferimento alle nozioni, alle tecniche di registrazione e agli strumenti della bioacustica sta affascinando a tal punto musicisti, field recordist, artisti e amatori di tutto il mondo, che è facile prevedere dove cadrà l’accento delle attività curatoriali e discografiche d’avanguardia nei prossimi due o tre anni.
Se c’inoltriamo nell’oceano ebay, non sarà difficile trovare già qualche piccolo idrofono costruito a mano o, se siamo più fortunati, degli Acquarian usati a buon mercato, con i quali cominciare a prendere confidenza con l’acqua e fare piccoli ascolti in superficie. Per una registrazione subacquea professionale, invece, c’è bisogno di strumenti piuttosto costosi, che vanno da registratori ultra-performanti per catturare le alte frequenze a centinaia, a volte migliaia metri di cavo, fino alle sonoboe e ai chilometrici array microfonici utilizzati per il monitoraggio acustico di vaste aree marine.
Secondo Gianni Pavan, direttore del Centro interdisciplinare di Bioacustica e Ricerche Ambientali dell’Università di Pavia, “
la capacità di produrre suoni è illimitata, ma è la nostra fantasia e capacità di immaginare nuove sonorità che forse è limitata. Talvolta dalle ricerche scientifiche emergono suoni e fenomeni assolutamente nuovi e strabilianti, non immaginati prima”. E, in effetti, spesso l’arte prende a prestito dalla scienza linguaggio e strumenti. “
Ma credo anche”, continua Pavan rispetto al suono, “
che identificare una ‘origine’ serva a dare un valore: un suono fra i possibili miliardi di suoni che possiamo sintetizzare ha un valore pressoché nullo… Ma un suono che ha una specifica origine, che può essere giustificato, che ha un ‘significato’, forse ha un valore maggiore”.
L’acustica subacquea è un campo di ricerca in crescente sviluppo, ricco di connessioni interdisciplinari e in grado di offrire risultati apprezzabili in diversi settori della ricerca scientifica, dalla geofisica all’oceanografia, biologia, ecologia, agli impieghi militari. Come ci spiega Pavan, la propagazione del suono sott’acqua può essere usata “
per cercare oggetti, relitti, ma anche minerali utili, gas e petrolio, per trasmettere dati, misurare la temperatura su vaste aree, oppure per ascoltare il transito di navi e sottomarini, o il suono di crostacei, pesci e cetacei”. E, naturalmente, cercare sonorità inedite.
L’artista norvegese
Jana Winderen lavora con i suoni dal 1992 e oggi focalizza il tema dell’idrofonia subacquea con una serie di lavori dedicati ai paesaggi sonori marini del Nord Europa e all’esplorazione acustica dei ghiacciai. Il suo prossimo cd, pubblicato da Touch, è un seducente lavoro basato su registrazioni idrofoniche dal fiordo groenlandese Kangia. Numerose applicazioni al crocevia tra arte e scienza sono invece consolidate da tempo sul terreno della bioacustica terrestre, ad esempio in Canada, dove il Wfae (World Forum for Acoustic Ecology) organizza eventi che coinvolgono scienziati, musicisti, artisti, biologi, architetti e filosofi sul tema dell’ascolto e del paesaggio sonoro.
In Italia, il Cibra rappresenta un centro all’avanguardia per la bioacustica, con numerosi progetti, pubblicazioni e collaborazioni internazionali. Tra le attività principali svolte dal Centro, ci spiega Pavan, “
c’è la continuazione del progetto Solmar (il programma Nato di ricerca oceanografica) con la definitiva messa a punto di un sistema di ascolto subacqueo trainabile che consente di rilevare e riconoscere diverse specie di cetacei, tra cui lo Zifio, la specie più critica perché è quella che si spiaggia con certe esercitazioni di sonar militari. Un’altra linea è lo studio dei paesaggi sonori terrestri per misurarne la biodiversità acustica e il livello di rumore antropico”.
Certo, quando arte e scienza comunicano, ciò accade soprattutto sul piano degli strumenti. Ma non sempre è così. Pavan crede che tra arte e scienza possa esserci un’influenza reciproca: “
Le arti visive”, sostiene, “
cercano di comunicare attraverso nuove forme di espressione visuale e talvolta la scienza ha bisogno di nuovi strumenti per trasmettere le informazioni che produce, per renderle anche ‘appetibili’ al grande pubblico. Ad esempio trasformando i numeri in immagini. Si sta poi sviluppando una nuova branca di ricerca sulla visione acustica. Non singoli suoni, ma l’intero panorama sonoro viene trasformato in un’immagine tridimensionale”. Davvero affascinante.
A questo punto viene spontaneo chiedersi se l’arte possa produrre conoscenza o se la conoscenza stessa non sia altro che una forma d’arte diversa. Bachelard, a proposito del rapporto tra epistemologia e poesia, scriveva: “
La nostra appartenenza al mondo delle immagini è più forte, più costitutiva del nostro essere che non l’appartenenza al mondo delle idee“. Ma allora, proviamo a chiederci noi, che cosa ne è del nostro essere, se riferito al mondo dei suoni?