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14
luglio 2009
decibel_recensioni Sant’Andrea degli Amplificatori
Musica
È l’ultimo concerto della stagione nell’ex cantina bolognese allestita a spazio per l’improvvisazione e la sperimentazione sonora. Un network di amici e artisti per promuovere il proprio lavoro e i gusti comuni...
Un posto per la musica contemporanea. Meglio ancora, un piccolo posto per la musica dove si possono ascoltare musicisti italiani e non che condividono voglia e curiosità, oltre che una produzione interamente giocata sulla sperimentazione.
Chi è solito etichettare questo tipo di esperienze come “underground” troverà particolarmente adatta la location: una cantina in una strada del centro di Bologna, prima tramutata nello studio di pittura di uno degli organizzatori e oggi in salotto per chi questo tipo di esperienze, senza definirle, le ama.
I tre ideatori del progetto, Domenico Grenci, Luciano Maggiore e Dominique Vaccaro, sono tutti artisti. In più, Maggiore e Vaccaro sono fondatori di Incudine-records, altro serbatoio di ricerca musicale. L’impresa di Sant’Andrea nasce quasi per caso nell’agosto del 2007, quando Luciano riceve un’e-mail da Z’ev, nella quale gli si chiede di cercare un posto per suonare un suo concerto. Luciano ne parla con Domenico e Dominique, e visto che il posto non c’è ma la passione non manca, decidono di crearlo. C’è anche un quarto amico, Andrea, il quale mette a disposizione il suo impianto di amplificazione e si guadagna con merito il titolo di padrino del progetto: “Sant’Andrea degli Amplificatori”.
Le regole sono da subito semplici e chiare: mantenere vivo il piacere di portare avanti la programmazione, che per questo motivo non supera mai le due serate al mese, e contare su un pubblico numericamente contenuto (certo, viste le dimensioni del locale) ma soprattutto interessato, il quale viene informato esclusivamente attraverso la mailing-list del locale.
Per la sua forma, Sant’Andrea risulta uno luogo avulso dalle regole di mercato, che peraltro sembrano non interessare affatto gli organizzatori, i quali stabiliscono di volta in volta la programmazione secondo il proprio gusto personale, con l’unico vincolo – per sé e per gli artisti invitati – dello spazio ridotto. Su queste basi, Sant’Andrea ha cominciato a proporre concerti di artisti stranieri in tournée in Italia, aspettando che la voce si diffondesse spontaneamente, e oggi sono già numerosi i musicisti che contattano direttamente il locale.
Quelli “scesi” a Sant’Andrea in questi primi due anni di attività sono lo specchio delle preferenze dei tre, uno specchio che riflette molti nomi già noti della scena elettronica bolognese e dintorni. Tra questi Gilles Aubry, Valerio Tricoli, Robin Hayward, Katsura Yamauchi, Marcel Türkowsky, Dean Roberts, Ranato Rinaldi, Head of Wantastiquet, Toshimaru Nakamura e David Daniell, lo stesso Dominique Vaccaro, Andrea Belfi, Stefano Pilia & Ootchio, Claudio Rocchetti, Massimo Carozzi, Andrew Leslie Hooker, Francesco Cavaliere e John Duncan, molti dei quali coinvolti sia come curatori e organizzatori delle serate che come ospiti e performer.
La stagione di quest’anno si è chiusa lo scorso 10 maggio con il concerto di Seijiro Murayama & Jean-Luc Guionnet, che siamo andati ad ascoltare. Un’apertura ridotta all’osso, minimale e scarna, in cui Murayama – seduto solennemente a occhi chiusi davanti al rullante (già dall’inizio della serata) – ha iniziato a esplorarne la superficie con un pennello dalle setole metalliche, dipingendo i contorni dei lunghi silenzi poi riempiti dal sax di Guionnet, delicatamente, come sussurrando. Piano, lentamente, inizia il “censimento” delle svariate potenzialità degli strumenti, in antitesi alla tradizionale canonica a cui sono abituati i più.
L’approfondita conoscenza tecnica e il totale controllo dei risultati fanno da contraltare alla radicalità dell’improvvisazione, in un dialogo tra i musicisti e i loro strumenti in cui il pubblico origlia a orecchie tese per non perdere nemmeno il più piccolo dettaglio. La fragile combinazione iniziale viene rotta improvvisamente da Guionnet, che spezza l’equilibrio precario tra pieno e vuoto con un suono potente che scuote l’audience, creando un sussulto frenetico e irruente. Poi di nuovo il silenzio e ancora i droni del sassofono suonato con respirazione continua. A questo punto il volto di Guionnet risulta completamente deformato, fuso tutt’uno con lo strumento, mentre Murayama appare quasi fisicamente assente, apre un occhio solo per prendere il cimbalo, poi ripristina subito la sua aura austera e ieratica con cui inaugura la seconda parte del concerto.
I canoni tradizionali sono invertiti e questa volta è il sassofono a dettare il ritmo, mentre si aprono i droni del cimbalo sul rullante e le vibrazioni sembrano solidi blocchi che inglobano gli spettatori. Murayama tesse una trama fitta e densa in cui Guionnet affonda con un suono nitido e affilato, e nel mezzo questo solco s’insinua la voce tremante e potente, quasi mistica, del primo. Una alla volta le contraddizioni si completano e si assimilano l’una con l’altra, fino a scomparire nel nulla.
Il concerto finisce così, poi si accendono le luci, si beve un bicchiere di vino e si condividono opinioni e idee tra affezionati, neofiti e artisti, in questo salotto buono che riesce dove tanti luoghi ufficiali falliscono: creare familiarità e coscienza musicale, contagiare l’audience con una massiccia dose di passione. Che poi ti porti a casa.
Chi è solito etichettare questo tipo di esperienze come “underground” troverà particolarmente adatta la location: una cantina in una strada del centro di Bologna, prima tramutata nello studio di pittura di uno degli organizzatori e oggi in salotto per chi questo tipo di esperienze, senza definirle, le ama.
I tre ideatori del progetto, Domenico Grenci, Luciano Maggiore e Dominique Vaccaro, sono tutti artisti. In più, Maggiore e Vaccaro sono fondatori di Incudine-records, altro serbatoio di ricerca musicale. L’impresa di Sant’Andrea nasce quasi per caso nell’agosto del 2007, quando Luciano riceve un’e-mail da Z’ev, nella quale gli si chiede di cercare un posto per suonare un suo concerto. Luciano ne parla con Domenico e Dominique, e visto che il posto non c’è ma la passione non manca, decidono di crearlo. C’è anche un quarto amico, Andrea, il quale mette a disposizione il suo impianto di amplificazione e si guadagna con merito il titolo di padrino del progetto: “Sant’Andrea degli Amplificatori”.
Le regole sono da subito semplici e chiare: mantenere vivo il piacere di portare avanti la programmazione, che per questo motivo non supera mai le due serate al mese, e contare su un pubblico numericamente contenuto (certo, viste le dimensioni del locale) ma soprattutto interessato, il quale viene informato esclusivamente attraverso la mailing-list del locale.
Per la sua forma, Sant’Andrea risulta uno luogo avulso dalle regole di mercato, che peraltro sembrano non interessare affatto gli organizzatori, i quali stabiliscono di volta in volta la programmazione secondo il proprio gusto personale, con l’unico vincolo – per sé e per gli artisti invitati – dello spazio ridotto. Su queste basi, Sant’Andrea ha cominciato a proporre concerti di artisti stranieri in tournée in Italia, aspettando che la voce si diffondesse spontaneamente, e oggi sono già numerosi i musicisti che contattano direttamente il locale.
Quelli “scesi” a Sant’Andrea in questi primi due anni di attività sono lo specchio delle preferenze dei tre, uno specchio che riflette molti nomi già noti della scena elettronica bolognese e dintorni. Tra questi Gilles Aubry, Valerio Tricoli, Robin Hayward, Katsura Yamauchi, Marcel Türkowsky, Dean Roberts, Ranato Rinaldi, Head of Wantastiquet, Toshimaru Nakamura e David Daniell, lo stesso Dominique Vaccaro, Andrea Belfi, Stefano Pilia & Ootchio, Claudio Rocchetti, Massimo Carozzi, Andrew Leslie Hooker, Francesco Cavaliere e John Duncan, molti dei quali coinvolti sia come curatori e organizzatori delle serate che come ospiti e performer.
La stagione di quest’anno si è chiusa lo scorso 10 maggio con il concerto di Seijiro Murayama & Jean-Luc Guionnet, che siamo andati ad ascoltare. Un’apertura ridotta all’osso, minimale e scarna, in cui Murayama – seduto solennemente a occhi chiusi davanti al rullante (già dall’inizio della serata) – ha iniziato a esplorarne la superficie con un pennello dalle setole metalliche, dipingendo i contorni dei lunghi silenzi poi riempiti dal sax di Guionnet, delicatamente, come sussurrando. Piano, lentamente, inizia il “censimento” delle svariate potenzialità degli strumenti, in antitesi alla tradizionale canonica a cui sono abituati i più.
L’approfondita conoscenza tecnica e il totale controllo dei risultati fanno da contraltare alla radicalità dell’improvvisazione, in un dialogo tra i musicisti e i loro strumenti in cui il pubblico origlia a orecchie tese per non perdere nemmeno il più piccolo dettaglio. La fragile combinazione iniziale viene rotta improvvisamente da Guionnet, che spezza l’equilibrio precario tra pieno e vuoto con un suono potente che scuote l’audience, creando un sussulto frenetico e irruente. Poi di nuovo il silenzio e ancora i droni del sassofono suonato con respirazione continua. A questo punto il volto di Guionnet risulta completamente deformato, fuso tutt’uno con lo strumento, mentre Murayama appare quasi fisicamente assente, apre un occhio solo per prendere il cimbalo, poi ripristina subito la sua aura austera e ieratica con cui inaugura la seconda parte del concerto.
I canoni tradizionali sono invertiti e questa volta è il sassofono a dettare il ritmo, mentre si aprono i droni del cimbalo sul rullante e le vibrazioni sembrano solidi blocchi che inglobano gli spettatori. Murayama tesse una trama fitta e densa in cui Guionnet affonda con un suono nitido e affilato, e nel mezzo questo solco s’insinua la voce tremante e potente, quasi mistica, del primo. Una alla volta le contraddizioni si completano e si assimilano l’una con l’altra, fino a scomparire nel nulla.
Il concerto finisce così, poi si accendono le luci, si beve un bicchiere di vino e si condividono opinioni e idee tra affezionati, neofiti e artisti, in questo salotto buono che riesce dove tanti luoghi ufficiali falliscono: creare familiarità e coscienza musicale, contagiare l’audience con una massiccia dose di passione. Che poi ti porti a casa.
decibel – suoni e musica elettronica è un progetto a cura di alessandro massobrio
Info: www.myspace.com/santandreadegliamplificatori / www.incudinerecords.com
[exibart]