La musica invade ville, parchi e pescherie di Genova: torna Electropark, il festival di musica elettronica e arti performative tra ibridazione e legame con la città. Abbiamo intervistato i direttori artistici Alessandro Mazzone e Anna Daneri, per qualche anticipazione del weekend.
Perché un lettore del mondo dell’arte dovrebbe essere interessato a Electropark?
«Prima di essere un festival, Electropark è un progetto culturale di musica elettronica e arti performative. Il festival nasce nel 2012 e negli anni ha saputo declinarsi rispetto a una evoluzione sia dal punto dell’organizzazione, con i progetti dell’Associazione Evergreen, e sia dal punto di vista della proposta artistica e degli approcci. La nostra mission è quella di contaminare e ibridare il linguaggio della musica elettronica con quello della danza, del teatro, del circo. Facciamo lavorare insieme artisti di discipline differenti per creare nuove produzione e collaborazioni transdisciplinari, valorizzando i contrasti e la diversità. È proprio specifico della ricerca artistica contemporanea la contaminazione e in questo Electropark ha aperto alcune strade non solo a Genova, ma anche a livello nazionale».
Venendo invece al tema dell’edizione di quest’anno “Dreamworlds”, cosa dobbiamo aspettarci?
«Dal 2021 siamo diventati un festival multidisciplinare, accreditati anche dal ministero nell’ambito del Fus, e per la prima volta abbiamo lavorato su una programmazione triennale, chiamata “Worlds”. Una trilogia che parte quest’anno con la declinazione “Dreamworlds” per indagare pratiche artistiche che possano proporre mondi alternativi, non tanto come una fuga dalla realtà, ma come il pensare a delle alternative. Molti degli artisti di questa edizione vengono dal mondo dell’attivismo queer, con la voglia e la forza di sognare mondi migliori, più equi e più solidali, soprattutto rispetto alle identità che stanno fluidamente abitando le nostre realtà. Il tutto è nato dal progetto che l’artista visiva Eva Frapiccini porta avanti da dieci anni, Dust of Dreams: un grande lavoro di archiviazione di sogni e di immagini dopo aver incontrato oltre duemila persone in diversi paesi del mondo e che ha visto la realizzazione di una grande installazione video interattiva con una coreografia di Daniele Ninarello e le musiche di Sara Berts. Da questa idea di indagare una dimensione onirica del mondo, abbiamo allargato la nostra visione immaginando un programma sensibile e attento alle emergenze del pianeta. Perché forse la musica elettronica, le arti visive, il teatro e la danza ci possono aiutare a immaginare un futuro differente».
Entrando nello specifico del programma, quali sono secondo voi gli eventi imperdibili di questa edizione?
«Il momento clou del festival è sabato nel giardino di Villa del Principe, allestito ad hoc per l’occasione, dove sono stati ospiti artisti internazionali, come gli inglesi Loraine James, che siamo onorati di avere avuto con noi per la sua prima uscita italiana, Ben UFO e Or:la che ci danno un assaggio della proposta elettronica londinese più attuale. A completare il tutto installazioni di artisti per una immersione artistica a 360° in uno dei contesti più iconici e magici di Genova. Dopo la Villa del Principe, ci spostiamo al Virgo Club, un storico locale di eventi lgbtq+, dove porteremo la nostra idea di Club Culture, con una proposta dalle sonorità più tecno. Ma anche venerdì e domenica non sono da perdere, ovviamente. Venerdì siamo al Mercato dei Pescatori, nella Genova più autentica, con il nostro format Fish&DJS, per valorizzare la tipicità del contesto urbano genovese con il coinvolgimento dei pescatori e della comunità di stranieri che vive quella parte della città. La domenica ha un sapore più marino. Siamo infatti al Beach Cafè Sturla, vicino alla spiaggia di Vernazzola, un’area ripristinata proprio sul mare e che per la prima volta sarà utilizzata per un festival di musica».
Prima parlavi della contaminazione del festival all’interno della città, qual è il rapporto del festival con Genova?
«C’è da sempre un importante lavoro di relazione che ci ha permesso di essere molto riconoscibili e avere un’identità ben precisa, creando una rete interdisciplinare, intersettoriale che grazie anche ai nostri approcci e linguaggi sempre diversi, non solo quello della musica elettronica, ci ha permesso di rafforzare la nostra presenza su Genova.
L’ibridazione di cui parlavamo prima avviene anche con la scelta delle location, tutte pensate per integrare l’arte e le performance nei contesti cittadini, in un processo di valorizzazione di luoghi inediti, storici, commerciali, spazi pubblici, spesso location degli eventi. C’è inoltre anche una capacità intrinseca di Forevergreen ed Electropark di essere motore e catalizzatore di crescita in stretto rapporto con il territorio, anche tenendo conto di quelle che sono le dinamiche protettive degli spazi. Non a caso abbiamo delle collaborazioni con alcune delle istituzioni culturali locali per progetti di ampliamento dei pubblici».
Come si può preparare uno spettatore che viene ad Electropark?
«Il costume, per gli eventi della domenica! Poi portarsi delle scarpe da ginnastica per poter ballare per tutti e tre i giorni, perché l’idea è farvi ballare tanto da recuperare anche i due anni di pandemia! Un nota importante a cui teniamo è di evitare di venire in macchina: tutti i luoghi del festival sono raggiungibili a piedi o con i mezzi pubblici. Anche gli orari degli eventi sono stati pensati per potersi muovere liberamente senza problemi. Per chi vuole invece provare momenti di dimensione onirica ci saranno trattamenti shiatsu cranio-sacrale biodinamico… Insomma un’occasione per staccare dalla dimensione usuale e aprirsi a nuove dimensioni».
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