Fa sempre uno strano effetto scrivere di musica, soprattutto dopo averla ascoltata: la proposta in esame – Re-flexio, il primo disco solista di Marco Zanotti (Classica Orchestra Afrobeat) – parrebbe incoraggiare uno certa disposizione uditiva, magari lontana dagli standard della forma canzone, eppure veicolata puramente nella forma del disco: un doppio vinile 10″ in edizione limitata, con packaging e artwork strettamente organici all’intera operazione. Roba d’altri tempi – proprio come i nostri, condizionati come sono da uno slancio produttivo che riscatti gli stop and go di marca governativa.
Dietro c’è un grandissimo lavoro, è evidente: basterebbe mettere insieme i numeri delle tracce missate, dei suoni rielaborati, dei musicisti coinvolti, delle innumerevoli comunicazioni tra loro e quelle spese a presentare nel modo più coerente possibile il frutto di un lavoro pur sempre d’insieme efficacemente gestito.
Presentare un disco significa investire parecchie energie, proprio personali: in questa fase piuttosto delicata i musicisti cercano dunque il contatto con l’ascoltatore attraverso la formula più vicina possibile – una forma da interrogare nella sua interezza – la cosa più vicina possibile a un bel concerto dal vivo, a pensarci bene. E questa cosa la apprezziamo proprio nella ricercata continuità tra le tracce; apprezzabile al pari l’impegno di certi musicisti a diffondere un tipo di repertorio, di certo vissuto quasi in prima persona, magari sbiadito per diverse generazioni che davvero non si son confrontate con la stessa forma del disco in oggetto sottinteso: ben vengano allora accolite di tal sorta. Siamo ancora sospesi nel dato musicale, il più possibile lontano da quei riferimenti d’ascolto che pure sono offerti nelle diverse presentazioni dell’iniziativa che pure troverete in rete per farvi un’idea più precisa, una sorta di bilancio curriculare così da farvi un profilo della faccenda: niente di tutto questo, altrimenti viene meno la condizione stessa di una curiosità che riscatti tutta questa mai doma verbosità.
Certe tracce sono più riservate, altre più collaborative: apollinee di carattere, scorrevoli nella ripetitività; seguono il passo incisi più scanditi, poliritmie ad incastro che spezzano il dialogo delle voci per portare direttamente la danza in scena. Facciamo finta sia musica senza passato, sarà più facile ancora essere coinvolti; sui titoli si pratichi invece una buona sospensione del giudizio, perché a dover fare supposizioni si sconfina nella cabala: potreste farvi un’idea di questo lavoro giudicando la track-list come si trattasse di una quarta di copertina, dunque fate il vostro gioco.
Sul dato grafico prima, audiovisivo più tardi si sviluppa la comunicazione stessa dell’iniziativa, con l’intento di riflettere il portato sonoro in alcuni particolari materiali rielaborati (lastre d’alluminio recuperate da Gaia Carboni) da un lato, insistendo su alcune strategie in formato di video musicali ad arte dall’altro.
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