Quattro anni dopo l’ultima visita a Montecarlo (raccontata qui), siam tornati a seguire il Festival Printemps des Arts. Da allora son cambiate alcune cose, qui una importante: dopo 19 anni di direzione di Marc Monnet, gli subentra un altro compositore, Bruno Mantovani, che a soli 47 anni vanta un curriculum artistico e istituzionale di tutto rispetto (per nove anni è stato anche direttore del Conservatorio nazionale di Parigi).
Amico del predecessore, ma non per questo in necessaria linea di continuità , Mantovani è autore di punta dell’attuale panorama transalpino. Trovi la sua musica sulla scena teatrale come nel repertorio sinfonico e cameristico, ed è presente anche nel programma di questa edizione, a dirigere il suo Allegro barbaro con l’Orchestra Filarmonica di Radio France. Ottimo dominio della nostra lingua, parla come può parlare il neodirettore artistico d’un progetto pluriennale: prospettiva di lungo termine ma con idee chiare. E si coglie già da questo primo anno la mano del compositore, che puntualizza subito sull’impossibilità di scrivere, quindi di proporre musica senza prescindere dalla storia.
Non a caso il primo lavoro che apre il primo concerto della sua prima gestione è Ma fin est non commencement, che fra l’altro dà titolo all’edizione. Un mottetto in forma di rondeux (si pensi al segno dell’infinito tradotto in musica), offerto la prima sera insieme con la Missa de Notre Dame, sempre del grande polifonia trecentesco Guillaume de Machaut, dall’Ensemble Gille Binchois, e di nuovo con grande proprietà di stile all’inizio del concerto sinfonico inaugurale, quasi a enfatizzare l’eclettica varietà dell’impaginato: due illustri ungheresi, Peter Eötvös e Bela Bartók con i rispettivi brani (Sirens’ Song e la Suite dal Mandarino Miracoloso) a incastonare il Primo e il Quinto concerto per pianoforte di Sergei Prokofiev, affidati entrambi alle mani di Jean-Efflam Bavouzet, pianista funambolico, vero mattatore della prima settimana del festival, quella di cui racconto. Bavouzert ha dovuto confrontarsi con un pianoforte bisognoso d’accordatura, ma soprattutto con le orchestrazioni invasive comuni perlomeno a quattro dei cinque concerti dell’autore russo, dove a pieno organico pesano i volumi degli ottoni. Bavouzet s’è destreggiato con abilità , inevitabilmente sovrastato nei tutti, ma acceso e puntuto nei momenti più asciutti.
L’orchestra Filarmonica di Strasburgo era diretta con rigore ed esperienza da Marko Letonja. Per nulla spossato, il pianista bretone s’è ripresentato la sera successiva e di nuovo il pomeriggio del terzo giorno in due recital giocati sul gustoso dialogo a distanza fra Haydn e Debussy. Due Sonate a concerto dell’austriaco, pezzi sciolti e due importanti raccolte pianistiche del francese. Il primo nella sala del Musée Océanographique. Bavouzet ha al su attivo l’integrale delle Sonate di Haydn. Le quattro qui presentate erano tra le più belle, e lui le suona con spirito birichino, un po’ com’è la sua istrionica indole. Quanto a Debussy, ascolti davvero preziosi, specie nel Secondo libro dei Préludes e nel virtuosismo de L’isle joyeuse. Con una chicca, il debussiano Hommage à Haydn, punto onfalico che unisce due autori così apparentemente distanti. Interprete dall’intelligenza strategica nella scelta di autori e programmi.
Nella splendida cornice del Tunnel Riva (il cantiere monegasco con le Rolls-Royce di mari e laghi appese alle pareti), la scoperta d’un giovane talento al sassofono. Dopo una prima parte soporifera, ecco la grande musica, originale con la Rapsodie di Debussy, e trascritta, dopo il passaggio dal sax contralto all’eccitante soprano, di Ravel, specie della Sonata per violino. Qui, accompagnato dal pianista Gaspard Dehaene, Sandro Compagnon sfodera tutta la sua bravura di virtuoso, con frisson di notine e artifici della respirazione circolare (operazione ardita che consiste nel respirare e produrre suono espirando allo stesso tempo), ma anche fraseggi eleganti. Un raggiante Mantovani ne segnala la provenienza come ex-allievo del Conservatoire, e se lo porta la sera all’Hotel Hermitage, per un After (piacevoli incontri che seguono i concerti serali, laddove i Before, ovvio, li precedono) in compagnia di Bavouzet.
Chiudeva il primo fine settimana un altro concerto sinfonico, con pagine giovanili di Webern e del francese Henry Dutilleux. Anche qui un solista di rango al pianoforte, il magiaro Deszo Ranki, nel maturo Terzo concerto di Bartók. Kazuki Yamada a dirigere l’orchestra di casa, la Philarmonique de Monte-carlo.
Nei week-end successivi, sempre a carattere tematico, del ricco programma generale del festival, spicca l’omaggio all’arte e alla musica armena. Doverosa la menzione d’una minuscola ma deliziosa esposizione collocata nei pressi della sala dell’Opéra Garnier, all’interno del Casinò, e dedicata all’opera pittorica del regista Sergei Parajanov (1924-1990), artista armeno discriminato dal regime sovietico.
Varietà e originalità di proposte musicali, specie se proiettate su créations e musica recente, non meno che qualità d’interpreti: ecco come sempre i segni distintivi della rassegna monegasca. Siam curiosi di vedere nel corso dei prossimi anni come Mantovani saprà portare avanti il suo progetto, ma crediamo che alla fine il suo lavoro premierà la fiducia della Princesse de Hanover.
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