La perfezione della simmetria è andata in scena domenica 10 novembre, in occasione del concerto del quartetto Minimalist Dream House, presentato in prima assoluta italiana all’Auditorium Parco della Musica, nel calendario del Romaeuropa Festival (a proposito, avete partecipato al nostro contest?). La simmetria, appunto, quella delle due chitarre guidate da Bryce Dessner e David Chalmin e dei due pianoforti delle sorelle Katia e Marielle Labèque.
Chi ha un po’ di dimestichezza con la musica dei National (formazione rock e new wave di Cincinnati da cui proviene Dessner) è sicuramente abituato a corrispondenze visive, almeno nei live: la voce di Matt Berninger è accompagnata dagli strumenti di due coppie di fratelli e gemelli, i Dessner e i Devendorf. Eppure la serata di domenica è stata simmetrica non per i lampanti meccanismi visivi sul palco.
Il progetto Minimalist Dream House nasce per rispondere a una domanda: dopo John Cage e La Monte Young, qual è il futuro della musica minimalista? A chi questa eredità? Le parole delle sorelle Labèque ci portano nel lontano 1958 quando un giovanissimo Allan Kaprow, due anni dopo la scomparsa improvvisa di Jackson Pollock, si chiedeva quale sarebbe stata l’eredità della pittura dopo che il gesto di quell’artista, quell’entrare nel quadro mentre si “fa” (termine poi sintetizzato con “dripping”), aveva spaventosamente esteso l’arte, quindi la pittura, a tutto lo spazio vitale umano. La risposta arriverà un anno dopo e si chiamerà happening: un’incursione della performance nella vita che, in quanto “non programmata”, non poteva prescindere dalla reazione di chi suo malgrado ne era divenuto parte.
Sul palco, i musicisti di Minimalist Dream House Quartet provano a dare le loro risposte su questioni di eredità e lo fanno con un concerto diviso esattamente e simmetricamente in due parti. La prima, con gli ormai “classici” Steve Reich e Philip Glass. La seconda con le musiche composte da chi sta provando a disegnare questo seguito: ed ecco quindi Thom Yorke con Don’t Fear the Light, David Chalmin, Timo Andres e lo stesso Bryce Dessner con il progetto El Chan, composto in onore del Messico e del regista Alejandro Gonzalez Iñárritu, suo grande amico e autore anche della cover dell’album.
Molte sono le incursioni della musica di Dessner in contesti artistici: “Triptych (Eyes of One Another)”, è uno spettacolo di quest’anno dove il suono tenta di raccontare la vita e l’opera di Robert Mapplethorpe. Dessner scopre la sua fotografia a Cincinnati quando aveva 14 anni rimanendo affascinato da quel suo essere profondamente “classico”, per il modo in cui studia il manierismo italiano e lo traduce nelle pose e nei corpi voluttuosi dei suoi scatti. Recentemente l’abbiamo visto al Metropolitan Museum di New York all’interno dell’installazione Death Is Elsewhere (2019) di Ragnar Kjartansson, artista che, come anche nella sua ultima personale in Italia, nel 2013 all’Hangar Bicocca di Milano, spesso invita amici e colleghi musicisti nei suoi progetti.
Più recente è la collaborazione con un altro fotografo, Hiroshi Sugimoto. Sono sue infatti le fotografie di paesaggi marini che diventano il visual di Wave Movements del 2015, commissionato dal Barbican Centre in collaborazione con il MET.
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