Musica sulla riviera di Levante. Concerti e incontri quotidiani dal 16 luglio al 7 agosto nel parco dell’incantevole Villa Marigola, fra paure di contagi ma richieste di green pass quasi scansate, il Lerici Music Festival, anglicizzazione del precedente, più suggestivo, “Suoni dal Golfo”, rientra nella meritoria classifica di rassegne che han reagito con determinazione alla sindrome della caverna e alla mortificazione della segregazione pandemica. Determinati ma anche sfortunati. E sfortunato con loro chi vi scrive, perché se son saltate due primedonne del pianismo come Yuja Wang e Khatia Buniatishvili, entrambe per problemi di salute (non Covid, menomale), la seconda, siam sinceri, motivava il viaggio verso la calda cittadina eletta a luogo d’elezione da Mary e Percy B. Shelley. Fatto sta che il forfait di Khatia, comunicato nel primo pomeriggio per la stessa serata, ha posto i vertici della rassegna di fronte a un bivio: restituire i biglietti o reinventarsi la serata.
Opzione due. Così il direttore artistico Gianluca Marcianò ha fatto un po’ come l’allenatore di calcio che sceglie i rigoristi, tutti artisti amici presenti in zona, salvando la situazione con un programma “a sorpresa” da cui non si poteva pretendere la perfezione, ma che ha regalato qualche piacevole occasione d’ascolto. Piacevole ad esempio ascoltare Erica Piccotti violoncellista e Costanza Principe pianista, il cui suono non certo imponente ma ricco di sfumature acquerellare ha sottolineato delicatezze espressive nella versione cellistica dei tre Phantasiestücke di Schumann e del Vocalise di Rachmaninov. Da riascoltare, magari in uno spazio più raccolto, come da riascoltare in altre musiche anche l’ottima clarinettista Gaia Gaibazzi che s’è inventata la versione di un Lied di Ludwig Spohr con il controtenore David Feldman e Marcianò qui in veste di pianista; ma c’erano pagine per tutti i palati, da Paganini e Sarasate con il violino di Giulio Plotino a Piazzolla con il sax di Valentina Renesto accompagnata da Giuseppe Bruno. Suono in generale, si diceva, un po’ flebile, oltre le prime file: per il futuro, una cassa armonica acusticamente più “protettiva” e/o una tettoia proiettata oltre il proscenio forse faranno piangere il piatto del bilancio, ma di certo aiuteranno gli ascolti.
Come da programma invece il concerto della sera seguente. Guest star il clarinettista Andreas Ottensamer, 32 anni ma già “primo” dei Berliner Philharmoniker e artista esclusivo della Deutsche Grammophone: insomma, un marziano, o quasi. Atteso con la pianista Wang, non ha potuto offrire un’immaginabile, splendida performance con il suo strumento, lasciando il segno del suo passaggio a Lerici come direttore d’orchestra. E se ha governato con discrezione i giochi strumentali del Carnevale degli animali di Saint-Saëns (solisti gli interpreti impegnati nella serata precedente), ha altresì evidenziato criticità nella Quarta Sinfonia di Schubert con cui si apriva il concerto. Gesto secco, ancora acerbo, dunque suono legnoso, nei due movimenti conclusivi il giovane musicista austriaco inserisce il turbo: l’Allegretto del Minuetto diventa così un Allegro molto e l’Allegro finale, diciamo, un Presto con fuoco. Qui i giovani archi dell’orchestra arrancano nel continuum di crome d’accompagnamento, ma vendono cara la pelle e, bravissimi, riescono a non grippare il motore; però è una sofferenza. A nessun musicista va negata l’emozione del podio, specie, come in questo caso, siamo di fronte a un “eletto”. Un nome a caso: Maurizio Pollini nel corso della sua breve stagione direttoriale si cimentò fra l’altro proprio con questa “Tragica” schubertiana. Ma a Lerici si tornerà volentieri per ascoltare Ottensamer al clarinetto, magari con la stessa Yuja Wang rimasta a casa quest’anno, e magari nel mirabile Trio op. 114 di Brahms, o nello Schumann qui presentato nella versione con il violoncello. Non vediamo l’ora.
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