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“Musiche nella Musica”. Si potrebbe intitolare così questa sezione che a cadenza mensile, circa, il compositore Luigi Abbate porterà sulle pagine di Exibart. Un incontro visivo sulle corde delle sette note, mischiando stili e tracciando anche una cartografia di appuntamenti su e giù per l’Italia e non solo. Per questa prima visione, dedicata al lavoro di Silvia Lelli e Roberto Masotti vi portiamo al Mar di Ravenna, ma soprattutto a Milano, in quell’epoca “da bere” che per la musica (come per molto altro) fu estremamente prolifica. E alla quale oggi, forse, si guarda con un po’ di nostalgia. (MB)
Musiche e Vuoto con memoria sono due distinti momenti di un’unica proposta espositiva che potrà emozionare fino al prossimo 11 luglio al Mar, il Museo d’Arte della città di Ravenna. Protagonista uno dei più importanti sodalizi (di vita e arte) della fotografia italiana: Lelli e Masotti, ovvero Silvia (Lelli) e Roberto (Masotti), due eterni ragazzi ravennati migrati ancora giovanissimi a Milano, e che nella città lombarda proiettata idealmente verso luoghi e mondi di un Europa settentrionale, a cominciare dal fuoriporta di Lugano e da lì fino alla Grande Mela, hanno testimoniato con le loro immagini fotografiche un momento magico della creatività musicale che aveva principalmente a Milano il suo teatro, e che a Milano aveva principalmente teatro nel suo luogo musicale più prestigioso, la Scala. Questo essenzialmente nel primo dei due momenti, che rinnova l’allestimento di una precedente mostra perugina, ma entrambi a declinare in maniera profondamente diversa e al tempo stesso linguisticamente unitaria il possibile significato di un’unica categoria dell’umana condizione: la memoria.
Silvia Lelli e Roberto Masotti, Musiche
Attraverso le immagini in mostra, sceltissime e molto belle, a cominciare da quella di Lenny Bernstein, che prova immortalato in felpa chiara e in un gesto di pathos tutto romantico (ma non era forse il secondo movimento della Sinfonia in sol minore di Mozart, quella “famosa”?!) che sta sulla copertina del catalogo di Silvana Editoriale, si ripassa la nostra vita di ascoltatori, di frequentatori, prima giovanissimi, poi adulti, quasi fino a oggi, della Milano della Scala e di altri spazi dove si faceva spettacolo. C’è Bernstein e ci sono altri direttori: respiri profondi di Maazel e di Sinopoli, consueto distacco analitico nell’improbabile t-shirt a righine di Boulez, sguardo cereo di Celibidache. Celebre il Kleiber con la Scala in tournée a Osaka, il sorriso mistico e beffardo ad un tempo. Ci sono i pianisti, Pollini e Cardini, Ashkenazy e l’Horowitz di quel mitico concerto di fine ’87; c’è anche Ballista “in ascolto”. C’è lo spirito ineffabile del “Musizieren”: un ancor giovane Claudio Abbado al cembalo con il grande violinista Isaac Stern e, sempre violino e tastiera, un ispirato Frank Peter Zimmermann e un giovanissimo Lonquich che pare l’arcangelo dell’Annunciazione di Savinio. Foto splendida, come quella di un candido Keith Jarrett perfettamente a fuoco sul primo piano sfocato del sax di Jan Garbarek. Chi c’era si ricorda tutto, prova a riconoscersi tra il pubblico di quella sera di fine anni Settanta al Palasport (quello che sarebbe venuto giù con la nevicata del gennaio ’85), con Abbado a dirigere l’iradidio di coristi e orchestrali, Scala e Rai insieme nella cantata di Prokof’ev Alexander Nevskij e la voce indimenticabile di Lucia Valentini Terrani. Rivivono nelle foto di scena momenti importanti, anche della propria vita, come quel Don Giovanni di Muti e Strehler nel 1987, quel Donnerstag di Ronconi e Gae Aulenti che all’inizio del 1979 inaugurerà l’epopea scaligera del ciclo Licht di Stockhausen, o Bob Wilson in persona nel Doktor Faustus di Manzoni. Magari non c’eravamo, forse troppo giovani, nello storico Einstein on the Beach di Glass e sempre Wilson, questa volta a Venezia, Lucinda Childs ritratta in prova. Ci sono i compositori: Kagel, Nono a Friburgo, Arvo Pärt, le mani di Franco Donatoni che lavorano, commoventi come il profilo del Maestro Goffredo Petrassi seduto nel palco di proscenio, sullo sfondo Riccardo Muti che lo omaggia nell’esecuzione del suo Coro di morti, come non ricordare quella sera! C’è poi una sfilata di violoncellisti: Rostropovich, Yo-Yo Ma, ma anche la calzamaglia di Frances-Marie Uitti e la scarpa orfana del piede di un cellista dei Berliner.
Silvia Lelli e Roberto Masotti, Musiche
Musiche, appunto, e non musica. Perché c’è la classica, ma anche tutto il resto: il citato Jarrett ma anche Carlos Santana, Frank Zappa e Lou Reed, Demetrio Stratos ma anche Nusrat Fateh Ali Khan a Torino e un James Brown “beccato” alla Cà del Liscio. E pure grande teatro: Leo e Perla, Pina Bausch e il suo Kontakthof. Verrebbe voglia di raccontarle tutte, oltre un centinaio. Completa la rassegna un video (montato da Gianluca Lo Presti), dove quasi per magia le musiche intimamente rievocate dall’incontro con le immagini dei loro autori e interpreti, come in uno strano transfert emotivo, un intimo cortocircuito immagine-suono, si palesano all’ascolto in un suggestivo remix montato da Massimo Falascone.
Due momenti, si diceva all’inizio. Detto del primo, il secondo è l’elemento originale e specifico della mostra ravennate: la videoinstallazione Vuoto con memoria, creazione di Silvia Lelli che riesce a caricare di densità espressiva l’inconsistente, a dipingere con colori che restano nel nostro intimo sentire. Stupenda l’apertura, dove le varietà di verde delle foglie immobili sono incorniciate dalla sola struttura verticale, bianco-gesso, di una finestra. Immobilità interrotta dall’increspatura di trasparenze rilucenti e da fibrillanti sfrigolii di sonorità elettroniche prodotte da Luigi Ceccarelli con Alessandra Novaga. Inquadrature del “tempo sospeso”, suggerite da una visita dell’autrice a Russi, non lontano da Ravenna, dove sta Palazzo San Giacomo con le geometrie dei suoi esterni, la sua struttura simmetrica, dimora sontuosa abitata solo dagli umori di un passato che non torna. Il finale di un film non si svela mai, ma si può almeno dire che la pervasività dell’assenza qui è modulata da una “pienezza fonica” che costituisce il correlato oggettivo di un’operosità profondamente padana, fatta di terra (un tempo, ahimè) ubertosa, di pedalate quiete e ben ritmate.
Silvia Lelli e Roberto Masotti, Musiche
Un paio di rilievi all’allestimento non possono mancare. Anzitutto l’assenza di datazione delle immagini esposte. Sta bene che non figurino nelle didascalie laterali a parete, permettendo così al visitatore il godimento della pura fotografia, in stampa eccellente ed elegantemente incorniciata; sta meno bene che non figurino almeno nel “regesto”, cioè nella riproposta delle immagini in corpo ridotto a fine catalogo. Questo non per puntigliosità da critico, ma proprio per permettere, alla fine dell’indovinello sul tema “ma qui c’ero anch’io?”, di fare la malinconica verifica sulla distanza che ci separa da quei mitici Anni Settanta, Ottanta e Novanta di una Milano e di un mondo musicale e artistico che oggi stentiamo a riconoscere. L’altro rilievo riguarda la brevità di calendario dell’esposizione, che avrà il suo finissage il 12 luglio. Evidentemente non si poteva tener viva per più tempo, ma è un peccato. Affrettarsi dunque, per godersi anche gli ultimi appuntamenti del Ravenna Festival. Quanto alla mostra e al video di Lelli, magari ci saranno altre occasioni. Il biglietto d’ingresso ha lo stesso prezzo che Banca Intesa paga per il salvataggio di Veneto Banca e Popolare Vicenza: 1 euro. A proposito, ciascun italiano ci ha messo la differenza, 780 circa. Per le banche naturalmente, non per la mostra di Lelli e Masotti.
Info: www.mar.ra.it oppure www.ravennafestival.org.
Luigi Abbate