Il suono, com’è universalmente noto, si dipana nell’atmosfera attraverso un susseguirsi di onde. Diverse -a volte addirittura contrastanti- sono le descrizioni delle percezioni avute durante un ascolto. Sarà per questo che quando si spendono delle parole a favore della comunicazione di una sensazione auditiva si sprecano i rimandi a quelle precedenti (storiche e non), creando intrichi e concatenazioni di ricordi che sfiorano il corto circuito?
Per fortuna allora, dovremmo dire, che nel concerto multi-postazione di cui si parla è difficile trovare dei richiami diretti, se si esclude, ovviamente, l’intoccabile coda di “padri spirituali” della sperimentazione audio, quella che (per capirci) enumera nelle sua fila Luigi Russolo e John Cage su tutti.
Lo spazio dove si svolge il Phonorama All Stars si caratterizza innanzi tutto di un’ambiguità: è possibile ascoltare in ognuna delle due stanze di cui si compone, ma per accostarsi a pieno ad ogni performance è necessario spostarsi, muoversi. Ogni artista (o gruppo di artisti) infatti, ha a disposizione una porzione di stanza per sé, pur essendo tutti immersi in unica grande sala bipartita. La questione dell’ambiente è rimarcabile alla luce di come le sonorità prodotte sembrano cambiargli assetto man mano che si succedono. Tutti seduti di fronte ai Fantasmagramma, che reintepretano una certa idea di rock; fedeli all’estetica di cui conservano chitarra e abbigliamento, adulteri quando si tratta di parlare del feed-back sonoro. Quindi una scarica di rumore, prodotto ancora in materia analogica, da Claudio Rocchetti, non senza l’aiuto del volume, del potenziometro e di una mano che, in questi casi, della delicatezza non se ne fa nulla. Leggere e dolci nei passaggi sono, al contrario, le musicalità degli .::invernomuto::., corredate da alcune diapositive proiettate a breve distanza dalla parete, quasi che la minima dimensione del supporto visivo non voglia rovinare le “fragili” costruzioni sonore.
La quiete per gli occhi in sala, di un buio costellato delle luci di servizio dei suonatori, viene rotta fragorosamente dalle linee spezzate, spigolose per definizione, del tubo catodico con cui se la prende Valerio Tricoli. Che il suo sia un intervento di disturbo anche foto-decostruttivo è confermato dall’utilizzo di un lampeggiante, la cui accensione “a scoppio” riverbera il concetto di fuoco d’artificio, seppur carico di cavi elettrici piuttosto che di polvere da sparo.
La suggestione “varia nell’aria secondo le fronde più rade men rade” di suoni, echi, risacche melodiche dalle corde metalliche della scatola di Francesco Cavaliere, stimolata con protesi di varia natura come le setole di pennelli, stecche metalliche o le dita stesse. Le sonorità si articolano tra auto-referenzialità ed effetti sul contesto limitrofo, ed è questa seconda parte di cui si occupa maggiormente Riccardo Benassi. Nella sua ricerca, se non fosse per alcuni rimasugli di suono portati ready-made, parlare di armonia sarebbe quanto meno scorretto, la sua manipolazione avviene direttamente sugli strumenti di distorsione e si cura solamente di ciò che il tappeto di rumore lascia intra-sentire. Riscontriamo a titolo informativo la mancanza di quote rosa citando infine la presenza installativo/performativa di Dafne Boggeri.
Al centro del “palco” principale dondola un megafono, inno indubbio all’aumento di volume, che trasporta chi lo brandisce verso il più diffuso ismo di tutti i tempi. L’unico, forse, in cui il soggetto trova la sua piena realizzazione: l’esibizionismo.
claudio musso
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