Il primo album Heavy Metal che atterrò a casa mia fu Load dei Metallica, questo la dice lunga sulla generazione a cui appartengo; quella di chi non ha vissuto la tragica morte di Cliff Burton, che gli Iron Maiden non riuscivano a colmare con Blaze Bayley il vuoto lasciato da Bruce Dickinson – che ci si era messo anche Max Cavalera che abbandonava i Sepultura – che Load e ReLoad non avevano niente a che vedere con i Four Horseman di Kill ‘Em All e non si capiva perché Marianne Faithfull cantasse in un loro album.
Qualcosa era nell’aria quando sentimmo immutata la stima che avevamo per i “nonni” Deep Purple, Black Sabbath e Led Zeppelin, manifestando però critica incosciente per le modifiche che i nostri “padri” Judas Priest, Motörhead, Iron Maiden, Venon, Metallica, Slayer e Megadeth azzardavano nei loro album.
Raccontare la storia del Metal è compito quindi di chi ha vissuto più da vicino questi colossi della New Wave of British Heavy Metal e la Bay Area Thrash Americana perché noi abbiamo assistito solo al loro declino. Però possiamo tracciare la storia di quei sottogeneri che, ereditando dal passato, soddisfacevano negli anni ‘90 sia chi aveva bisogno di più brutalità e chi, invece, di più melodia.
Insomma, stanchi dei tramonti, volevamo assistere alla nascita di qualcosa che fosse più aderente al frammento di tempo di cui eravamo testimoni e i Cannibal Corpse di The Bleeding erano un ottimo inizio.
I riffs taglienti confermavano la provenienza dal Thrash Metal e nei loro testi c’era la stessa esplicita truculenza della copertina di Butchered at birth del ’91, dove feti appesi attendono la macellazione da due zombi intenti a squartare una donna.
Chissà forse ispirò la Kristof quando, nella famosa trilogia del ‘98, descrive i due fratelli che appendono ad una trave della soffitta gli scheletri dissotterrati della Madre e del suo neonato.
Il ’95 fu l’anno di Once Upon The Cross; i Deicide producono una guerriglia di suoni compatti con chitarre pesanti militati dal growl di Glen Benton, più cavernoso rispetto a quello liquido di John Tardy con i suoi Obituary.
Incentrato sulle velocità del “blast beat” batteristico, l’incrocio tra il Thrash aggressivo della Bay Area e la malignità dei Venom(N.W.O.B.H.M.), il Death Metal di queste band ha caratteristiche grasse, tonalità basse e ovattate, ritmiche sincopate, tecnicismi elevatissimi dove il “palm muting” e il “growl” sono vere e proprie religioni.
I Death sono i pionieri del genere ma la carriera viene stroncata dalla morte prematura del leader Chuck Schuldiner nel 2001.
Ci lasciano con “The Sound of Perseverance” sbizzarrendosi in convulsi cambi di stile così tecnicamente esatti che tengono testa al jazzista più virtuoso.
La fonte principale ce la svelano, con l’ultima track, reinterpretando Painkiller dei Judas Priest con una velocità e cattiveria dannatamente elevati aggiungendo inedite melodie.
Ma decisiva sarà l’influenza dei Venom, la stessa da cui attinse anche la Bay Area dei Metallica, Slayer e Megadeth e lo si evince da Black Metal che, nel martellamento compulsivo dello stesso riff, ha molto a che vedere con Metal Militia, The Final Commande Chosen Ones.
Ad ogni modo il contributo più grande i Venom lo diedero con i Mercyful Fate, Celtic Frost e molti altri fondando, con il “primo movimento black metal”, le basi del “secondo” (Mayhem, Burzum, Darkthrone e Immortal) che a sua volta ispirò i nostri Satyricon, Emperor, Gorgoroth, Carpathian Forest, Dark Funeral e Marduk.
Il “blast beat” è ancora più veloce, lo “scream” sostituisce il “growl”, chitarre più aperte e melodiche, atmosfere oscure e testi satanici. L’autenticità la dettavano le registrazioni barbare che nel “secondo movimento” saranno più di qualità. Mother North dei Satyricon e Inno A Satana degli Emperor sono gli ottimi esempi dei nostri anni, mentre le laccate atmosfere dei Dimmu Borgir di Mourning Palace sono tendenzialmente reputate meno “autentiche”.
Il problema è che il Black è sempre stato fortemente chiuso a nuove sperimentazioni, proteggendo un tesoro che si credeva unico e irripetibile, ma su questo si è anche fondata la sua fortuna e lo dimostrano le preziose profondità che BURZUM raggiunge in Feeble screams from forests unknown.
Nel frattempo il Death si spostò in Europa dove era in atto il grindcore inglese dei Carcass e dei Napalm Death che univano violenza e velocità in pezzi da uno o due minuti massimo.
È qui che i Maiden misero quel pizzico di melodia che virò il Death nella fase “Melodic” tirando fuori Hypocrisy, Dark Tranquillity, In Flames, Katatonia e i giovanissimi Children Of Bodom con due album di esordio che lasciarono tutti a bocca aperta.
In Norvegia invece i suoni sono più cupi, le melodie più malinconiche e i ritmi più lenti. A distinguersi saranno gli Amorphis che ricorderanno le sonorità di A Momentary Lapse of Reason e The Division Bell dei Pink Floyd con il delicatissimo album Tuonela che si abbandona a voci pulite, atmosfere morbide, sintetiche e distorsioni effettate.
Ma i Maiden si faranno sentire con la velocità e gli acuti dei Judas Priest quando aiutarono a reinterpretare il “Classic” sui presupposti “Power” che gli Helloween performarono nello storico Keeper of the seven keys part II del ’88. Insieme ai Gamma Ray passarono il testimone agli Iced Earth, Blind Guardian e Stratovarius dove il passo verso l’Epic lo sollecitarono Rhapsody e Domine. Era il 1999, il power metal e la sua positività erano ormai lanciatissimi.
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