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Muore a 73 anni Florian Schneider, fondatore insieme a Ralf Hütter della band tedesca più famosa nel mondo, i Kraftwerk. Nato a Duesseldorf, Schneider era uno dei tanti figli della guerra formatosi all’ombra (o meglio alla luce) di Karlheinz Stockhausen, il compositore avanguardista che collega gli estremi di una ricerca che verrà poi denominata krautrock – o meglio, kosmische musik: una musica colta e iconoclasta nelle premesse, mescolata nella pratica alla sensibilità volk, rivolta cioè alle persone.
Dalla musica disco all’underground, il contributo dei Kraftwerk al popolo della musica è parimenti trasversale e imprescindibile; come dovevano esserlo le lezioni di musica dello stesso Stockhausen, se si pensa che hanno accomunato personalità e band tanto diverse come Can e Grateful Dead (che seguirono per sei mesi le sue lezioni alla University of California insieme ai Jefferson Airplaine).
In quegli anni, la Germania era ancora divisa in due e iniziava a cercare una nuova identità, provando a dimenticare la recente guerra mondiale. E lo fece soprattutto tramite i suoi artisti, dal cinema alla danza, alla musica. Questi ultimi, fedeli quanto gli altri all’unica regola della sperimentazione disinteressata e della libertà espressiva, ripudiando le logiche commerciali imposte dai vincitori anglosassoni, diedero alla luce esperimenti eterogenei che oscillavano tra misticismo essoterico (Popul Vuh) e futurismo (Kraftwerk) ma tutti uniti da un profondo senso di rinnovamento che sfociava nel visionario.
I Kraftwerk, seguendo l’esempio di compositori come Luigi Russolo e Edgard Varèse, saranno tra i primi a “incidere” su disco il paesaggio sonoro urbano, elevando il “rumore” alla densità emozionale di una sinfonia e adeguando l’elettronica alla godibilità dei ritmi pop; un tentativo musicale e sociale che riscriverà per sempre il concetto di suono e ispirerà, nella sua accezione più politica, un’altra celebre band tedesca: gli Einstürzende Neubauten. Basti pensare al pezzo Metall auf Metall contenuto in Trans Europa Express (1977), dove a fare da contrappunto alla drum machine ci sono due lastre di metallo.
È incalcolabile il numero di artisti che si sono direttamente o inconsapevolmente ispirati ai Kraftwerk e a Florian Schneider nel corso degli anni: senza di lui sicuramente non ci sarebbe mai stata la scena techno e house di Detroit, né Brian Eno avrebbe fatto ascoltare a David Bowie il suono del futuro, ovvero il moog di I feel love, suonato da Giorgio Moroder, a sua volta fan di Schneider e del suo sodale Ralf Hütter.
Dopo i primi esperimenti condotti con membri esterni d’eccezione, quali Klaus Dinger e Michael Rother dei Neu!, il duo raggiunse il successo su larga scala con Autobahn, nel 1974, quando scalarono le hit-parade statunitensi, mentre la Germania dell’Ovest vinceva i mondiali di calcio. Il nuovo volto che la Germania stava cercando arrivava a suon di drum machines e sintetizzatori, e presto sarebbe diventato l’inno di un’intera generazione proiettata alla modernità, “che sbircia da un’Europa senza fine l’eternità spalancata tra i molti e i pochi” a cui si accede grazie alle visioni degli artisti tedeschi. Basti pensare che nella stessa Düsseldorf, all’inizio dei ’70, ci sono due autentici fuoriclasse come Schneider e lo scultore-performer Joseph Beuys, che insegna scultura alla locale Kunstakademie.
Come spesso accade ai pionieri, l’iniziale spinta anticommerciale dei Kraftwerk doveva rallentare. A partire da Computerwelt (1981) i dischi iniziano a essere più orecchiabili e meno innovativi dei precedenti. Forse è lo scotto da pagare per aver sfiorato la purezza del suono anticipandolo di 30 anni; forse il futuro che Schneider aveva profetizzato era finalmente arrivato, spostando l’attenzione del volk su altre tematiche e altre scoperte.
Quello che possiamo dire oggi, è che Schneider è sull’autobahn verso l’olimpo della musica, proprio in un momento in cui ci sarebbe bisogno di visionari come lui per intravedere nuovi scenari culturali e politici in un’Europa che è sempre meno eleganz e sempre più dekadenz.
Jefferson Airplain ?? suggerimento: l’inglese non si scrive così come si pronuncia in italiano 😉