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Alfredo Jaar (Santiago Del Cile, 1956) ha portato il livello dell’arte al confronto tra etica ed estetica, denuncia e poetica, forma e funzione. Quest’ultima contrapposizione è un insegnamento, proprio dell’architettura, che l’artista ha raccolto durante gli studi giovanili e portato nella carriera. Più volte Jaar ha affermato di sentirsi un architetto che fa arte, non un artista da studio, sottolineando che i suoi lavori sono nati non dall’immaginazione ma da una ricerca sulle problematiche, sulla storia e sulla cultura del luogo a cui si stava dedicando. Questo approccio si può riscontrare anche all’interno delle sale della galleria di Lia Rumma, dove Jaar ha presentato “Napoli, Napoli”.
L’artista cileno definisce la città partenopea «uno tsunami di gioia esuberante e caos malsano», dove si rimane immediatamente spaesati per l’insieme di incoerenze e contraddizioni, in cui si generano infiniti doppi unici e domande esistenziali. La visione restituita è delicata e poetica, un continuo gioco di luci e ombre in perpetuo contrasto. In Chiaroscuro, che introduce l’esposizione, l’artista racchiude il messaggio trasmesso da una città che lo ha trasportato in un turbine di storia, colore, festosità, tradizione, cultura, superstizione ma anche confusione, affollamento, caducità, degrado, in un passaggio rapido dalla luce all’ombra. L’opera è completata da una frase di Antonio Gramsci, da sempre feticcio di Jaar: «Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri». In calce a questa citazione, sul pavimento, l’artista distende una piramide di palline colorate, alla cui estremità pone una statuina di Dante. Alzando gli occhi nuovamente al muro, è tracciata una scritta con il neon: «M’illumino d’immenso».
Jaar, per quasi un decennio, ha vissuto sotto controllo del regime di Pinochet. Sotto la dittatura non si può parlare chiaro ma bisogna ugualmente imparare a far sentire la propria voce. Per fare arte ha dovuto esprimersi poeticamente tra le righe, parlare senza parlare. I suoi sono lavori al limite del concettuale, tendendo al confine estremo tra estetica e informazione. È convinto che l’arte possa cambiare le persone una per volta, toccandole nell’anima: se un’opera riesce a emozionare, si entra in contatto con un modo nuovo di pensare. Cerca nell’uomo quello che definisce «l’ottimismo della volontà», tentando di far sentire lo spettatore diretto destinatario del messaggio che sta osservando.
Rivolgendosi ai napoletani con infinita delicatezza e spronandoli a un risveglio dei sensi e della coscienza, ha ricreato questo impatto nel percorso della mostra. Quanta Napoli è racchiusa nel colore delle palline ammassate, metafora del popolo partenopeo che, malgrado i suoi mostri, ancora può illuminare di immenso, e quant’altra è diffusa nelle altrettanto colorate scritte al neon che traducono il nome della città in tutte le lingue delle minoranze etniche ospitate, denunciando come la città abbia aperto le sue porte al mondo ma, allo stesso tempo, non sappia trovare la strada dell’integrazione con se stessa. La mostra termina con Mare, quanto del tuo sale sono lacrime di Napoli?, l’opera più dolce e che racchiude tutto, dal dolore passato alla speranza futura. Anche qui l’artista gioca con il chiaroscuro: un’intera sala della galleria è occupata da una grande vasca d’acqua, i neon al suo interno passano dall’oscurità – metafora dell’amarezza per le lacrime e la violenza che Napoli ha conosciuto e che ancora vivono – e arrivano alla luce abbagliante, l’augurio di un nuovo inizio, privo di sofferenza.
Michela Sellitto
mostra visitata il 4 marzo 2016
Alfredo Jaar, Napoli, Napoli
Galleria Lia Rumma
Via Vannella Gaetani, 12, 80121 Napoli
Orari: Dal martedì al sabato, dalle 10:30 alle 13:30 e dalle 14:30 alle 19:00
Info: 08119812354 – info@liarumma.it