Riflessione tragicomica sull’eternità. Sull’inafferrabile e talora non auspicabile esistere senza fine, ma anche sulla prosaica e purtroppo altrettanto eterna insipienza umana nel suicidarsi in nome di un “progresso” economico e tecnologico non sempre degno di tal nome. E che rischia di sopravvivere a tutti noi, seppellendoci sotto danni dalla portata ancora non prevedibile.
Gian Paolo Striano (Napoli, 1977) parte dalla concreta polemica sociale sull’uso dell’incorruttibile ma esiziale eternit per abbracciare astratte suggestioni filosofiche, superando la giustapposizione dei due livelli di senso con quella deflagrante ironia con cui già era emerso nel Premio Fondazione Arnaldo Pomodoro.
Nell’itinerario espositivo, il processo ideativo della mostra è proposto all’inverso: la prima sala introduce all’ambigua connotazione dell’eternità in senso concettuale, mentre la seconda ne applica la duplicità allo specifico dell’utilizzo della lega di amianto. La balconata piastrellata di pannelli fotovoltaici di
Panorama, netta ed elegante -come l’ironia che l’ha generata- nelle linee, trasfigura il quotidiano e naturale gesto di rubare dall’affacciata di casa quel po’ di sole consentitoci dalla moderna edilizia in una riflessione sull’eterno ciclo dell’energia, e su come al suo ripetersi in natura si sia affiancato un altro processo generativo, quello tecnologico.
Catturata e riverberata nei pannelli specchianti
Senza Titolo della parete contigua, la luminosità si amplifica evidenziando, oltre alla luce -che diventa quasi un ulteriore materiale scultoreo- anche il paradosso: ben poco “metafisici” in tutto questo spirituale lucore, si stagliano infatti i profili-nuvolette con citazioni famose sull’eternità, al contrario surreali e dissacranti anche per l’accostamento di frasi auliche a altre spoeticizzanti. Anch’esse, s’intende, trasformate ora in sempiterni fumettistici ammonimenti a futura memoria.
Come scolpisce la luce, così nell’ambiente successivo Striano plasma il vuoto.
Eternit, l’opera che ha dato l’idea per tutta la mostra, con un mirabolante meccanismo magnetico, così magico che sembra provenire ancora dal mondo dei comics, “sputa” via da sé il velenosissimo tetto di eternit (incapsulato per ovvie ragioni di sicurezza) che ne minaccia la candida e intonsa purezza delle pareti, quasi ingenuamente infantili nella forma. Come se su un puro mondo familiare fosse improvvisamente piombata la minaccia di un’entità maligna e venefica: denuncia non troppo da fumetto, dato che proprio ciò l’utilizzo di amianto ha prodotto nella realtà.
Difesa utopistica, incapsularsi i polmoni, è quella suggerita da
Senza Titolo, disegno che rivela gli inizi da illustratore di Striano, ancora evidenti nel carattere “disegnativo” della sua scultura, che spesso individua un punto di vista privilegiato e si costruisce per linee esatte e limpide. Nitore di sguardo e d’acume, a denuncia della non trasparente spregiudicatezza umana.