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Delfi era conosciuta come l’omphalos del mondo, l’ombelico, un termine che, in greco classico, indicava un oggetto usato in un rituale. Punto nodale tra le più importanti vie di comunicazione dell’antichità, la città alle pendici del Monte Parnaso era meta di mercanti e pellegrini, che provenivano da ogni angolo della terra per visitare il santuario panellenico, edificato in una zona consacrata già dall’epoca pregreca. Inerpicandosi sulla Via Sacra per salire il Monte, dopo aver superato la Fonte Castalia, il Tesori dei Sifni e il Tesoro degli Ateniesi, si arriva al Tempio di Apollo, sede dell’oracolo, sulla cui architrave sono incisi i tre moniti della dottrina apollinea. Conosci te stesso, tu esisti, nulla di troppo, erano le massime poetiche e pratiche che ammonivano alla consapevolezza dei limiti umani per porre rimedio alla hybris, alla innata tracotanza dell’uomo verso le leggi insondabili del divino. Commentati da Platone, che li inserì nei suoi dialoghi socratici, i motti si caricarono di un significato opposto a quello originario ed esortavano alla conoscenza attraverso la coscienza individuale, lasciando intravedere la forma del divino nell’essere umano. Nulla di strano, le frasi pronunciate dalla voce mantica dell’oracolo erano state composte proprio per risuonare d’ambiguità.
Così, il “Nulla di troppo” in mostra da Primo Piano non è un ritorno alla sophrosyne, all’atteggiamento etico della temperanza e della moderazione ma un meccanismo interpretativo che combina le opere fotografiche di Chiara Celeste (Avellino, 1987), Aristide Gagliardi (Napoli, 1972), Luigi Grassi (Campobasso, 1985), Cristina Milito Pagliara (Salerno, 1983), Massimo Pastore (Napoli, 1971), Giovanni Scotti (Napoli, 1978), Ciro Vitale (Scafati, 1975), nel racconto di un niente che va al di là, un’assenza debordante dai luoghi e dai corpi. Qualcosa che non c’è si pone al centro e alla periferia dell’obiettivo, in «uno spazio sacro di segnalazione in cui gli artisti si calano», nelle parole della curatrice Elvira Buonocore.
Negli angoli abbandonati di Limosano, antichissimo comune in provincia di Campobasso che oggi conta poco più di 700 abitanti, Grassi ha trovato l’assenza delle funzioni, letti e bacinelle lasciati alle ombre. Cose che si perdono, come nei “terzi paesaggi” di Giovanni Scotti, in cui una nebbia opprimente avvolge elementi lasciati dall’uomo e particolari naturalistici. Per Massimo Pastore l’assenza è la ricerca brutale dell’altro, espressa nella serie Tokens, scatti rubati a una videochat erotica in cui l’immagine virtuale e la profondità del reale sono imperfettamente sincronizzate, distese sul tessuto visivo sformato e opaco di piccoli lightbox. Nelle opere di Chiara Celeste, realizzate con la tecnica lumen print, l’assenza è nel contatto rituale e mistico tra la natura e l’artificio, tra foglie, bacche, petali e carta fotografica, impressionata dalla luce del sole o della luna. L’assenza di spazio fa perdere l’orientamento in Island of the dead, di Ciro Vitale, in cui l’isola del famoso quadro di Böcklin scompare, lasciando il paesaggio vuoto e il moto della barca incompiuto in una perdita d’orientamento. Aristide Gagliardi si concentra sull’immagine del limite, la rappresentazione si concentra in un punto ristretto, un sottoinsieme che coinvolge il resto ma lasciandolo in un orizzonte indecifrabile. Per Cristina Milito Pagliara, che presenta l’unica opera non fotografica, una serie di blocchi bianchi in cui si uniscono plasticamente le figure di radici di denti, radici di alberi e sagome di abitazioni, l’assenza è andare via da un luogo, il presentimento dell’abbandono e della perdita.
Mario Francesco Simeone
mostra visitata il 26 febbraio
Dal 26 febbraio al 10 marzo 2016
Chiara Celeste, Aristide Gagliardi, Luigi Grassi, Cristina Milito Pagliara, Massimo Pastore, Giovanni Scotti, Ciro Vitale, Mēden agān. Nulla di troppo: assenze e i loro spazi di esercitazione
Galleria PrimoPiano
Via Foria 118 – 80137, Napoli
Orari: dalle 16 alle 19, dal martedì al giovedì
Info: primopianonapoli@gmail.com