Dopo Ginevra, Berlino e Milano, Luca Francesconi (Mantova, 1979) approda a Napoli, con una personale che riunisce i suoi lavori più recenti, incentrati su un’indagine del concetto stesso di natura. Le tre sale della galleria accolgono opere diverse tra loro, per tecnica e soggetto: installazioni, disegni e fotografie. Il risultato è una mistura di artefatto e natura, grazie alla quale, agli occhi dello spettatore, questi due fattori si scambiano funzioni e relative percezioni. Lavori che rimandano immediatamente alle ormai storiche esperienze di Giuseppe Penone e Francesco Lo Savio.
Nella prima stanza un albero è disteso sul pavimento, spogliato della sua corteccia e poi ricoperto di una chioma di chewing gum masticato. La disposizione e il confronto tra i materiali è precisa e misurata; Francesconi non lascia spazio agli imprevisti. Nella seconda sala l’artista incentra la sua ricerca sui processi di formazione degli elementi naturali e sul modo in cui questi possono essere modificati e interpretati. Si rivolge alla natura come generatrice di forme pre-definite, generate naturalmente e poi rielaborate, a cui l’artista attribuisce un nuovo modo di essere naturali. Così un ramo di carrubo lungo un metro e venti mostra i suoi frutti, diventati lunghe spine appuntite; dall’altra parte un grande cristallo giallo trattato con lucido bianco da scarpe sfuma la sua trasparenza unendosi ad un materiale estraneo, generando un gioco ambiguo che diventa linguaggio ermetico. La chiave di lettura è da ricercare nella creazione di una dimensione diversa e libera della speculazione visiva, intrisa dell’approfondimento di valori essenzialmente ridotti ai minimi termini, impoveriti delle loro caratteristiche per essere ricondotti alle qualità archetipe.
Il lavoro di Francesconi è il risultato di un procedimento che si muove empiricamente dal disegno all’installazione, rinunciando ad ogni categorica progettazione. La durezza concettuale delle precedenti opere si trasforma in una sensazione innegabilmente seducente, quasi sensuale, che gioca con la naturalezza delle proprie intime azioni. L’artista rivela così il suo inganno, il suo doppio gioco. Materiali come un lucido da scarpe o del chewing gum si confondono e vivono con pietre e alberi, diventano originari ed organici, diventano opere quasi spaventosamente vive.
lino sinibaldi
mostra visitata il 10 gennaio 2006
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cavoli mi sarebbe piaciuto venire a Napoli a vederla ! Peccato ero in Cina e per poco mi arrestavano! Forza ACCROCCHIO !!! ti aspetto per il caffè