Belli e preziosi i disegni, i bozzetti e gli storyboard a firma Dean Tavoularis (Lowell, Mass., USA; 1932), in mostra a Napoli. Materiali di qualità che rivelano il lavoro che si cela dietro ogni più piccola scelta estetico-compositiva di un film. Documenti unici di una professione, quella del production designer che, probabilmente, con l’affermarsi della grafica digitale, già non si svolge più nelle modalità qui espresse. Quindi, in un certo senso, si tratta di documenti di valore storico, sebbene datati dal 1968 al 1994.
Chi ha amato le cupe atmosfere di Apocalypse Now, rimarrà stupito nel vedere come la giungla cambogiana del film abbia molto poco di natura incontaminata e, al contrario, risulti rigorosamente adattata alle esigenze del set cinematografico. E come i disegni iniziali e finali delle scene di guerriglia del film descrivano esattamente in che modo debbano apparire le rovine fumanti al temine del girato. Sono davvero suggestivi i progetti esecutivi su carta da schizzo, con particolari in scala full size, del Quartier Generale del Colonnello Kurtz, con la ricostruzione di un fantomatico tempio khmer, immaginato da Tavoularis in ogni suo dettaglio.
La precisione e la meticolosità dei disegni di Tavoularis uniscono la sua formazione da architetto a quella di graphic designer sviluppatasi con i sui primi lavori presso i Disney Studios. La prima esperienza nel cinema sarà con il film Bonnie and Clyde, nel 1967, che rivela un originale marchio fumettistico; poi l’incontro con Michelangelo Antonioni, con le esplosioni finali di Zabriskie Point -girate al rallentatore con 17 videocamere- e il sodalizio, lungo tutta la sua carriera, con Francis Ford Coppola, che lo porterà alla vittoria, nel 1974, del Premio Oscar per la migliore scenografia con Il Padrino II.
La proiezione del cortometraggio Dean Tavoularis. Il Mago di Hollywood di Clara e Robert Kuperberg, che chiude la mostra, offre una chiave di lettura per tutto ciò che è esposto: le interviste con Coppola, Warren Beatty e Roman Polanski chiariscono il senso di un ruolo, quello del production designer, che prende in carico tutto il lato estetico del film interpolando le esigenze del regista con quelle concrete del set, fino a quelle dei costumisti e degli attori.
Insomma, una bella mostra, con splendidi lavori, degni di un museo del cinema, e che conferma la vocazione del PAN come “Palazzo delle Arti”. Una mostra però pessimamente allestita, relegata al pian terreno dell’edificio, affogata fra toilette e sottoscale di servizio, organizzata in maniera assolutamente ordinaria, a tratti noiosa, senza dare il giusto rilievo al materiale esposto.
giovanna procaccini
mostra visitata il 25 agosto 2006
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