In ogni sala una scultura, due in quella più grande. Le sculture, però, sono tutte scomparse: ne è rimasto solo il basamento. E’ ferro forgiato. Forse non è nemmeno il basamento, ma solo un grosso blocco che ne riproduce le forme e il peso. Il dubbio assale: “La mostra dov’è?”. La mostra è lì, ma non si vede.
E’ un unico lavoro, che chiede di essere “letto”, capito, senza separare quei blocchi dal contesto in cui sono inseriti. Ci si allunga, infatti, dall’altra parte del cortile sul quale si affacciano le quattro sale della mostra e ci si accorge con sorpresa che i blocchi riprendono tutti le forme e le altezze dei basamenti marmorei romani qui esposti.
Basamenti marmorei decorati, completamente scolpiti o con varie iscrizioni incise, lasciati a giacere come abbandonati accanto a blocchi di ferro forgiato, senza alcuna decorazione, posti al centro di sale completamente restaurate e messi in evidenza da una splendida illuminazione.
Da una parte il passato ritrovato, ma poi nel tempo dimenticato, abbandonato, e divenuto uno “scomodo peso da gestire”, dall’altra il presente desiderato, tanto faticosamente raggiunto e adesso trasformato nell’immagine nuova della città. Eppure quelle forme erano già nel museo, sono sempre state nel museo e un artista americano, che non ha fatto altro che metterle in evidenza, fa scalpore.
L’opera di Richard Serra (San Francisco, 1939) racconta la nostra storia, la storia di chi è chiamato a gestire questi beni, a costruire il presente di questa città senza dimenticarne il passato. Viene da chiedersi se quei ritrovamenti archeologici, considerati di così poco conto rispetto a quelli ospitati “al coperto”, sarebbero in un altro paese lasciati alle intemperie e presentati così senza la minima indicazione.
Quei basamenti marmorei stanno lì perché non abbiamo avuto il coraggio di scegliere di lasciarli sottoterra. Perché non abbiamo il coraggio di staccarcene, di decidere tra quello che va abbandonato e quello che va salvato e recuperato.
L’opera di Serra sta lì perché chiamiamo altri, non italiani, a decidere per noi. Ancora una volta, come per l’installazione Naples in Piazza del Plebiscito, Serra non ha fatto che mettere in evidenza il contesto che ospita il suo lavoro. Il soggetto di quel lavoro non era altro che la città (che si richiudeva e conteneva solo se stessa), il soggetto di questo lavoro è il museo con tutto ciò che contiene, del passato e del presente.
Inutile, forse, avvicinarsi ai blocchi, cercare dietro una strisciata del flex o dietro una zona in cui la fusione è rimasta più compatta, una volonta estetica dell’artista: l’artista non c’è. Egli guarda, osserva, regista, poi pone degli ostacoli, degli elementi di disturbo. E l’opera diventa il pubblico che con questi elementi interagisce ed attorno ad essi si muove.
marco izzolino
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Non voglio mettere in discussione l'autorevolezza e anche la bravura di un artista come Richard Serra che nei suoi due interventi napoletani è riuscito esattamente in quello che è l'intento del suo lavoro, e cioè l'intervento sull'ambiente, anche di grande impatto scenografico. La monumentalità dei suoi progetti lo avvicinano molto al contesto dell'architettura e della definizione del moderno spazio urbano: Non sono invece d'accordo sul fatto che questo metta in discussione il senso delle esposizioni d'arte contemporanea, anzi caso mai le legittimano: E' la più assoluta legittimazione del fatto che le opere d'arte contemporanea siano al loro posto nei musei, a fianco alle opere d'arte antica e anche ai grandi reperti dell'archeologia: non c'è alcun dubbio sul fatto che Richard Serra si senta l'erede della grande tradizione dell'arte che viene dal passato. Il suo intervento può stare alla pari con Fidia e Michelangelo, non è una lettura: E' un'affermazione, e i musei la leggittimano. Che poi il critico veda una presa di posizione nel senso di riscattare le opere d'arte "abbandonate" nel cortile, mi sembra una vera e propria forzatura. Intanto quelle opere, anche se esposte alle intemperie, sono visibili al pubblico, a differenza delle migliaia, dico migliaia di opere che giacciono nelle soffitte e nei depositi di palazzo Reale, e stiamo parlando di opere che vengono da Pompei e Ercolano con le quali si potrebbero allestire più musei. E poi che significa che sono esposti alle intemperie? Il Partenone non è forse esposto alle intemperie? E i templi di Paestum? Di Agrigento? Laddove le coperture fanno tali danni, come nel complesso di Piazza Armerina
che si sta scolorendo ogni giorno di più, al progetto per l'Ara Pacis, quantomeno discutibile. Ma qui si tronerebbe alla famosa polemica "romantica" sulla poetica del "pittoresco"difesa da John Ruskin e dagli inglesi, contro quella del restauro e della ricostruzione voluta da italiani e francesi, Canova e Viollet Le Duc...
Io non vedo lo scalpore di questa mostra, che non desta certo sorpese se non in chi si è domandato se le opere erano piene o vuote, insomma un lieve moto di curiosità!